DI RAPPRESENTAZIONI SOCIALI E DI ETICA DELLA CONOSCENZA

Eh, sì: siamo provinciali. Siamo provinciali perché i nostri universi di senso sono vastissimi e per tanto incomprensibili a colpo d'occhio, un po' come Guernica o il Duomo di Milano. Siamo provinciali perché la sola possibilità che abbiamo di capire qualcosa è muovendoci entro spazi di senso ristretti, circoscritti, che ci si impongono però come singolarmente assoluti e totali, quelle che Shütz chiama Province di Significato.

Le Province di Significato possono essere considerate veri e propri ambiti di vita, ambiti di vita sociali in cui la soggettività viene a collassare e a confondersi con il background stesso, trasformandolo nella realtà primaria e oggettiva, come in generale le forme che assume la conoscenza naïf, la dóxa di cui parlavano i Greci Antichi. Ciò che rende evidente la parzialità delle Province di Significato è lo choc provocato dal viaggio, inteso in generale come conoscenza di un mondo altro, che in quanto ob-iectum nuovo rispedisce al mittente, il subiectum, tutte le credenze, le attribuzioni fino a quel momento assolute e generali; e non è necessario nemmeno spostarsi per viaggiare, come disse Descartes: "A conversare con gli uomini del passato accade quasi lo stesso che col viaggiare".

Le Rappresentazioni Sociali sono parte integrante di tali articolazioni macroscopiche del senso: sono modi in cui una collettività, su scala ampia, ripresenta a se stessa un certo oggetto di attenzione, che diventa così oggetto di conoscenza condivisa ed elaborata. Comparata con altri costrutti simili possiamo definire la portata, l'ampiezza delle Rappresentazioni Sociali in quanto costrutti intermedi: non posseggono infatti le caratteristiche di elementarietà degli Schemi di Bartlett, che hanno la stessa dimensione del singolo episodio od oggetto di conoscenza, ma nemmeno la vastità del Senso Comune di Gramsci, che costituisce la base vasta e comune di intere collettività.

Molto chiaramente l'ideatore del costrutto, Moscovici, ne definisce anche i processi di formazione, che rispondono a due problemi fondamentali: come avviene il cambiamento, l'evoluzione delle Rappresentazioni Sociali? E come fanno ad essere così credibili da sembrare vere? Rispetto alla prima domanda l'autore propone un termine noto alla Psicologia, l'ancoraggio, a sottolineare la tendenza conservativa delle Rappresentazioni Sociali, che evolvono sì, ma lentamente e senza discontinuità importanti, senza rivoluzioni né stravolgimenti: il fenomeno dell'ancoraggio, infatti, consiste nell'assimilazione di una novità all'interno delle strutture di conoscenza preesistenti, conservando parte della novità ma rendendola al tempo stesso familiare a ciò che è già noto. Ad esempio, l'ancoraggio per la Rappresentazione Sociale delle biotecnologie negli anni a cavallo tra il '90 e il 2000 era con la Scienza Positivista Ancient Régime, fatta di scoperte e progresso ma anche di mostruosità ed esaltazione (non a caso è proprio nel XIX secolo che alla figura dell'apprendista stregone si sostituisce quella dello scienziato pazzo); l'ancoraggio per la Rappresentazione Sociale della Psicoanalisi era invece nei riguardi della religione o della magia.

Il secondo quesito, relativo invece alla capacità delle Rappresentazioni Sociali di diventare reali, inducendo spesso in quello che Titchner definiva errore dello stimolo, viene risolto da Moscovici nell'oggettivazione, che a un livello nucleare consiste nel porre al centro della rappresentazione stessa un immagine, un oggetto concreto, mentre in modo più generale consiste nell'annullare lo scarto tra realtà e rappresentazione, rendendo quest'ultima totalizzante e naturale. Nel caso delle Biotecnologie l'oggetto prototipico può essere il pomodoro al tabacco, o la pecora Dolly (inquietantemente deceduta dopo poco tempo), nel caso della Psicoanalisi invece è il lettino; se pensiamo ad argomenti di attualità, come ad esempio le famiglie omosessuali, vediamo che il riferimento alla categoria del naturale diventa molto di più di un artificio retorico, perché viene a inscrivere un fenomeno antropologico estremamente mutevole nello spazio geografico e nel tempo storico, la famiglia, entro coordinate rigide, fisse e non negoziabili, quelle della procreazione.

Esiste un modo per uscire dal provincialismo del significato? Oppure su di noi grava la condanna all'eterna parzialità? Per quanto apparentemente banale, la questione potrebbe avere addirittura un tratto teologico, ed essere risolta richiamando l'impossibilità dell'esplorazione dei percorsi di conoscenza divini, ma attenzione: il motto "le vie del Signore sono infinite" illustra la possibilità di una gnoseologia aldilà (mai questo termine fu più appropriato) della conoscenza, ossia la fede, il salto nel vuoto di Indiana Jones ne L'ultimo dei Crociati. La parzialità del Senso, il suo articolarsi in campi, isole, Province, appunto, può essere superata rimanendo nella conoscenza, e anzi valorizzandone lo spirito: di avventura, di espansione, di conquista simbolica che forse è la parte più interessante della cultura continentale e anglosassone. È infatti solo guadagnando nuove tappe, arricchendo il nostro dialogo interiore di voci contrastanti che diviene possibile vedere la stessa realtà con più occhi; rinunciando al trovare una risposta all'annosa questione "who is right?".

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