TUTTE LE FESTE SI PORTA VIA
Considero il 6 gennaio un festeggiamento molto importante, perché celebra da un lato le rivelazioni, tra tutte quella del luogo in cui nacque Jahushua, l'Epifania, dall'altro mette al centro l'ambivalenza della rappresentazione culturale del femminile, attraverso la figura della Befana.
La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
e le toppe alla sottana.
Viva! Viva la Befana!
La filastrocca, nota ancora oggi (ma solo una delle tante), mette in luce gli aspetti benefici della Befana ma anche la sua temibilità: si tratta, come nel caso di Babbo Natale, di una figura demoniaca che viola il focolare domestico, passando proprio attraverso quello che ne è il simbolo per eccellenza, il camino, ma per lasciare dei doni (o carbone).
Il fuoco del camino e del carbone hanno un rimando ai rituali del fuoco di cui parla Frazer, e infatti non è proprio alla vita della Befana che si inneggia durante i festeggiamenti del 6 gennaio: a Bordonaro, in provincia di Messina, il 6 gennaio si celebra il falò du Pagghiaru, un fantoccio di paglia a metà tra l'albero di natale e l'albero della cuccagna, mentre ad Aragona, in provincia di Agrigento, per l'Epifania si compie una processione per tutte le edicole sacre del paese addobbate per il Natale, e ad ogni edicola si accende un falò detto vamparotto. In Provenza, invece, c'era l'usanza di tenere nel camino un tizzone da natale fino all'Epifania, e di conservarlo poi a protezione dai fulmini delle tempeste invernali.
Prima di venire chiamata "Befana", però, la vecchia strega, brutta ma carica di doni, aveva nomi differenti, che tengono traccia di quelli che sono i significati antropologici del fenomeno, che rimandano alla paura dell'inverno ma anche all'augurio dell'abbondanza. In milanese la Befana viene chiamata pagüra o püra, maràntega e smàra invece in veneto e friulano, parole che contengono la radice mar- che si riferisce alla paura raffigurata come una cavalla che che pesa sul petto dei dormienti (cfr. l'inglese nightmare).
In modenese la Befana è la burdàna, mentre bórda nei dialetti della Valtellina è il cumulo di nuvole che sta ai fianchi delle montagne, un fenomeno che rimanda fortemente all'immaginario invernale; tuttavia il termine, che deriva dalla stessa radice dell'inglese birth, ha a che fare anche con la fertilità degli animali: non è un caso che proprio il 6 gennaio venga celebrato nei borghi con forti influssi ortodossi anche il Battesimo di Cristo, con rituali che coinvolgono alloro o arance.
La Befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
e le toppe alla sottana.
Viva! Viva la Befana!
La filastrocca, nota ancora oggi (ma solo una delle tante), mette in luce gli aspetti benefici della Befana ma anche la sua temibilità: si tratta, come nel caso di Babbo Natale, di una figura demoniaca che viola il focolare domestico, passando proprio attraverso quello che ne è il simbolo per eccellenza, il camino, ma per lasciare dei doni (o carbone).
Il fuoco del camino e del carbone hanno un rimando ai rituali del fuoco di cui parla Frazer, e infatti non è proprio alla vita della Befana che si inneggia durante i festeggiamenti del 6 gennaio: a Bordonaro, in provincia di Messina, il 6 gennaio si celebra il falò du Pagghiaru, un fantoccio di paglia a metà tra l'albero di natale e l'albero della cuccagna, mentre ad Aragona, in provincia di Agrigento, per l'Epifania si compie una processione per tutte le edicole sacre del paese addobbate per il Natale, e ad ogni edicola si accende un falò detto vamparotto. In Provenza, invece, c'era l'usanza di tenere nel camino un tizzone da natale fino all'Epifania, e di conservarlo poi a protezione dai fulmini delle tempeste invernali.
La parola "Befana" è strettamente legata ad "epifania", non solo per la corrispondenza del giorno dei festeggiamenti, ma anche perché dal punto di vista linguistico la prima deriva dalla seconda, a indicare la presenza di una sovrapposizione sincretica tra la cultura popolare precristana e quella invece della religione istituzionalizzata a partire da (almeno) il 313 d.C., con l'editto di Milano.
Prima di venire chiamata "Befana", però, la vecchia strega, brutta ma carica di doni, aveva nomi differenti, che tengono traccia di quelli che sono i significati antropologici del fenomeno, che rimandano alla paura dell'inverno ma anche all'augurio dell'abbondanza. In milanese la Befana viene chiamata pagüra o püra, maràntega e smàra invece in veneto e friulano, parole che contengono la radice mar- che si riferisce alla paura raffigurata come una cavalla che che pesa sul petto dei dormienti (cfr. l'inglese nightmare).
La Giobia è un fantoccio che rappresenta una vecchia e viene bruciata l'ultimo giovedì (la radice comune è proprio quella di Jov- di Giove) di gennaio nelle piazze di alcuni borghi piemontesi e dell'alta Brianza; la leggenda racconta che viva nei boschi, dove fa paura ai bambini, che indossi calze rosse, e che grazie alle gambe lunghe non metta mai piede a terra, spostandosi di albero in albero; l'ultimo giovedì del mese di gennaio, però, si aggira per il paese alla ricerca di un bambino da mangiare (che abbia a che fare con la maternità?).
Il fuoco conserva un senso di espiazione ed esorcismo della povertà dell'inverno, della fame cui si accompagna, e infatti il rito del brusar la vegia si compie sia a gennaio che in Quaresima, durante il Carnevale: in Valfurva la vöglia è la Befana, maligna, che viene bruciata in piazza ma nel giorno del Carnevale.
Il fuoco conserva un senso di espiazione ed esorcismo della povertà dell'inverno, della fame cui si accompagna, e infatti il rito del brusar la vegia si compie sia a gennaio che in Quaresima, durante il Carnevale: in Valfurva la vöglia è la Befana, maligna, che viene bruciata in piazza ma nel giorno del Carnevale.
Disfare l'albero, addormentarsi con la consapevolezza dell'arrivo di notte della Befana, ricevere in dono dolci, ma anche carbone; prepararsi al rientro al lavoro e a scuola, ma anche prepararsi alla parte più dura dell'inverno, dove il gelo incuba la nuova vita; e le donne brutte, le donne cattive, le donne vecchie, bruciate in piazza ma cariche di cose buone da mangiare. Ecco che tutto acquisisce un senso più arcaico, e religioso, nel senso più autentico della religione in quanto legame di una comunità.