TUTTO SI CREA, NULLA SI DISTRUGGE

Commento all'articolo Paradoxical frames and creative sparks: Enhancing individual creativity through conflict and integration [2011], di Miron-Spektor, E., Gino, F., & Argote, L. in Organizational Behavior and Human Decision Processes216, 216-240.
"Che lavoro fai?" "Il creativo". Se abitate in una città come Milano è probabile che abbiate sentito molte volte questa espressione, creativo, definita come professione; "Cercasi creativo", si legge sugli annunci di lavoro, e di solito si parla di un grafico, che non è detto debba poi davvero creare qualcosa, dato che spesso i grafici sono il braccio esecutivo del marketing che prende decisioni di precisione millimetrica (e non lascia, di fatto, molto spazio alla creatività). "Creativi" come nuovo gruppo che rimpolpa il ceto medio. E chiudo brevemente il cerchio su www.lavoricreativi.it, servizio utilissimo per chi desideri sperimentare i nuovi orizzonti del precariato, meno per chi invece voglia fare della libera professione una leva di cambiamento e liberalizzazione.

La creatività è un tema studiato da lungo tempo dalla Psicologia, in particolare da quella branca che si occupa di Problem Solving, dove la creatività è vista come uno stile, una strategia di risoluzione: è per esempio creativa la Aha Erlebniss degli scimpanzé di Köhler (che molto probabilmente non si esprimevano con "Aha!" ma che altrettanto probabilmente saranno stati piacevolmente sorpresi dall'aver risolto il problema del raggiunger la banana),  "creativa" è una delle intelligenze secondo Sternberg, così come ha a che fare con essa il pensiero laterale di Edward Bono.

Trattare con la creatività a livello aziendale, ossia al di fuori della rassicurante cornice del laboratorio, comporta invece il confronto con materiale umano più complesso, con paradossi e tensioni, poiché ci si confronta con richieste conflittuali da parte di persone che hanno molto spesso agende disallineate. È per questo che i lavori creativi, invece che nell'estro artistico (o artigiano) investono le proprie risorse spesso nel gestire il senso di minacciainnalzamento delle difese e cercando la chiusura cognitiva.

Secondo Miron-Spektor, Gino e Argote [2011] il comportamento tipico di un lavoratore che riceva input contraddittori è esaurire una richiesta alla volta, scontentandone in ciascun momento sempre una e concludendo - come spesso succede - con un "In questa azienda non sanno che vogliono".  Gli autori propongono un modo per tenere insieme informazioni incoerenti, utile per evadere richieste non omogenee ma anche - e soprattutto - assolvere a compiti creativi: si tratta dei frame paradossi, che vengono definiti "dispositivi mentali" che gli individui utilizzano per abbracciare indicazioni, aspetti di un compito o di una situazione apparentemente contraddittori.

Tutto questo sarebbe possibile perché all'interno dei frame paradossi gli elementi in contraddizione non vengono messi l'uno contro l'altro, bensì resi complementi che si rinforzano a vicenda; ad esempio le istruzioni "organizza l'incontro nel dettaglio" e "garantisci flessibilità nell'organizzazione dell'incontro" sono a un certo livello l'una l'opposta dell'altra, poiché la programmazione rigida non può essere flessibile; tuttavia esiste un livello immediatamente sovraordinato nel quale i due elementi coesistono e interagiscono, nella misura in cui, ad esempio, ad essere programmata non sarà solo un'eventualità ma diverse che potrebbero verificarsi nell'incontro. Adorno disse "Un lavoro artistico di successo non è quello che risolve le contraddizioni in una armonia spuria, ma quello che esprime l'idea di armonia negativamente con l'incorporare le contraddizioni, pure e prive di compromessi, nella sua struttura interna."

I frame paradossi assumono come base il fatto che tra elementi diversi vi sia una relazione "both/and" invece che "either/or", aumenta lo span attentivo limitando il filtro ed è proprio la ricerca della connessione inaspettata alla base della generazione di nuove idee. Insomma, pare che per comprendere il contributo che i frame paradossi, dispositivi cognitivi, possono dare al lavoro creativo bisogna fare un piccolo salto nella complessità.  La ricerca sul tema dei frame paradossi si è sempre focalizzata sulla presa di decisioni e sulla ricerca di informazioni, ma mai sui rapporti tra frame e creatività; secondo Miron-Spektor, Gino e Argote [ibidem] l'ambivalenza generata dalla percezione dell'intorno in quanto inusuale, consente la generazione di nuovi legami tra gli schemi cognitivi al fine di riconciliare gli opposti.

La creatività viene definita come la capacità di generare nuove ancorché utili idee per risolvere problemi, e fare esperienza di dimensioni contraddittorie porta a senso di conflitto e a disorientamento che possono degenerare in sconforto; tuttavia vi sino situazioni in cui la presenza di contraddizioni, dopo lo shock iniziale, favoriscono la creatività, come quelle in cui il conflitto tra culture viene risolto in multiculturalismo. La prima ipotesi di ricerca riguarda dunque l'esistenza di un legame tra l'adozione di frame paradossi e creatività, ossia che le persone tendano a essere più creative se ricevono l'impronta di frame paradossi, ma  gli autori fanno riferimento a due ulteriori costrutti che mediano tale relazione: complessità integrativa e senso di conflitto.

La prima, la complessità integrativa, consiste nella capacità di valutare i concetti e differenziarne gli elementi contrapposti, unita a quella di integrarli cogliendo i collegamenti tra elementi distinti; il senso di conflitto, invece, non viene definito, ma solo circoscritto da rimandi ad altri autori. Questi, a loro volta, non parlano di "senso di conflitto" in modo esplicito, ma solo di "conflitto" e "contraddittorietà"; viene da domandarsi perché gli autori abbiano scelto di evidenziare una variabile che non trova corrispondenze dirette in letteratura. Azzardando una presa di posizione, possiamo dire che il senso di conflitto indichi la percezione soggettiva del grado di conflittualità di una situazione, e che coincida con il concetto di "tensione".

La teoria di fondo è quella del cognitive tuning di Schwartz [1990], il quale intreccia la razionalità limitata di March con la teoria degli affetti di Zajonc: secondo il primo i processi cognitivi umani, quali la ricerca di informazioni e la presa di decisioni, non mirano intrinsecamente all'ottimo, bensì a un livello di soddisfazione che è un valore soglia mobile, dipendente da diverse variabili. Secondo Zajonc invece le emozioni sono una forma di valutazione primaria della situazione, talora esaustiva, nel senso che non sempre sono seguite da una valutazione cognitiva. La teoria del cognitive tuning dunque afferma che affetti positivi sono utilizzati come base per ritenersi soddisfatti e quindi interrompere lo sforzo cognitivo per produrre un risultato, mentre affetti negativi mantengono viva e aperta l'attività di esplorazione e problem solving, poiché l'ambiente viene percepito come minaccioso.

Nei tre studi condotti, la creatività è stata operazionalizzata come capacità di riconoscere parole normalmente associate (Remote Association Task), compito di associazione logica tra parole (Association Task), soluzione del problema della candela di Duncker (Candle Task) e inclusione di parole in categorie (Category Inclusion Task). La complessità integrativa è stata operazionlizzata in un compito di descrizione di una figura ambigua dal Picture Design Exercise. Il senso di conflitto viene misurata da una Lickert a 11 punti su sconforto, disorientamento e conflitto per valutare le affermazioni ricordate e da un compito di completamento di parole inerenti al conflitto. Infine i frame paradossi sono elicitati da un compito di scrittura di 3 affermazioni paradossali udite nella propria vita, dalla descrizione fittizia di un giocattolo innovativo ma a basso costo.

I risultati confermano la validità del modello proposto dagli autori: le persone che ricevono l'impronta di frame paradossi tendono a sperimentare un maggior senso del conflitto che le altre, il senso di conflitto media la relazione tra adozione di frame paradossi e creatività, le persone tendono a mostrare più complessità integrativa quando sono improntate da frame paradossali che da altri schemi cognitivi e la complessità integrativa media la relazione tra i frame paradossi e la creatività. Insomma, i risultati mostrano che il frame paradosso aumenta la creatività più dei frame costi-benefici e dei frame sulla creatività stessa, e quindi che  focalizzarsi su obiettivi di creatività ed efficienza economica riduce la performance solo se i due obiettivi non vengono inquadrati insieme.

Come sempre succede con le ricerche condotte in ambito cognitivista, alcune aumentano la validità convergente del modello, altre invece la negano producendo risultati in contrasto: ad esempio, Huang e Galinsky [2010] mostrano che la dissonanza tra input sensoriali aumenta il senso di incoerenza (può essere paragonato al senso di conflitto Miron-Spektor et al.) e richiede l'espansione delle categorie di analisi cognitiva (accostabili ai frame paradossi); allo stesso tempo, Chua [2013] sostiene che la disarmonia interculturale nelle organizzazioni minaccia la soluzione di compiti creativi.

A parere di chi scrive ciò che funziona poco nel modo cognitivista di trattare determinati argomenti è il fatto che le variabili, per funzionare nella stessa maniera da ricerca a ricerca, debbano essere definite in modo millimetrico; è sufficiente che il senso del paradosso diventi un fatto interculturale perché la variabile produca effetti opposti, fermo restando che rimane difficile segnare in modo netto il confine tra un conflitto tra valori quali efficienza economica e innovatività e una disarmonia interculturale. Si viene pertanto a determinare una dipendenza pressoché totalizzante nei riguardi della variabile dalla situazione concreta da cui viene estrapolata qua idea, prima ancora cioè di essere fatta oggetto di studio: il senso di conflitto, infatti, in studi precedenti ha svelato avere un effetto negativo sulla performance, anche se altre ricerche hanno affinato la mira delle relazioni causali differenziando compiti che richiedono convergenza, effettivamente compromessi, e compiti che invece necessitano di pensiero divergente, elicitato dal senso conflitto.


La domanda che sempre mi pongo in situazioni del genere è se non sia più proficuo adottare un approccio concreto e fenomenologico piuttosto che statistico e riduzionista rispetto ai concetti che fanno riferimento al mondo della complessità organizzativa. Il senso di conflitto, se ripensato come tensione, trova un immediato riscontro nella Psicologia Topologica di Lewin come qualità di un sistema, e nel modo in cui l'ambiente, il compito e le persone vengono a interagire (e non nella qualità in sé della variabile) si produce un avvicinamento o un allontanamento dalla messa in atto di un problem solving creativo. Sia le variabili finora considerate nell'indagine della creatività in azienda (complessità del lavoro, esperienza precedente, relazioni con colleghi e supervisore, il sistema di reward e di valutazione, sicurezza psicologica, spazio di lavoro fisico) sia quelle proposte qui dagli autori (frame paradossali, senso di conflitto e complessità integrativa) non sono da soli sufficienti a cogliere gli aspetti dinamici, profondi del fenomeno.

Sarebbe interessante mantenere uno sguardo sempre sistemico, e - perché no? - lewiniano quando si parla di innovazione, all'interno delle organizzazioni cosiddette ambidestre, che sanno cioè guardare al futuro senza dimenticare la propria storia, innovare senza stravolgere, coniugare passato e innovazione: ma la ricerca accademica è essa stessa ambidestra?

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