PORTATORI SANI DI CONTRADDIZIONI

Adinolfi utilizza il web per dare una grande lezione di incoerenza: la sua solidarietà si rivolge a chi è stato vittima di una violenza alla cui forma - la sparatoria tramite fucile - aveva inneggiato proprio in occasione del farsi legge delle Unioni Civili. È invece assolutamente coerente alla propria condotta di sempre Taormina, quando con realismo cinico fa notare che agli eterosessuali cose del genere non succedono; tuttavia reagisce in modo incoerente il popolo del web, che si indigna di fronte a ciò che invece era abbastanza scontato e si indigna altrettanto per Adinolfi la cui uscita invece non era affatto prevedibile. Risuona poi poco autentico nella pancia dei lettori il tweet di Renzi, perché forse coglie la palla al balzo o magari assolve solo a un dovere istituzionale nei confronti dei "fratelli americani". E infine risulta lampante l'incoerenza della social-massa, che ieri era tutta Charlie Ebdo, ma oggi è eterosessuale convinta e praticante, preoccupata che nella solidarietà agli Stati Uniti possano intravedersi tracce di omosessualità latente.

Parliamo insomma di coerenza, e in particolare di coerenza e democrazia, perché proprio questo sembra emergere in modo manifesti dalla terribile strage di Orlando: le nostre contraddizioni. Il messaggio, ripetuto e potente, che arriva da ogni attacco rivendicato Stato Islamico, è innanzitutto che la filosofia del terrore è in grado di persuadere proprio chi è stato allevato nell'humus democratico; seconde generazioni, come Saïd e Chérif Kouachi, o cittadini europei come Jihadi John. Dobbiamo concludere che la nostra democrazia non è stata sufficiente a far crescere negli autori delle stragi il seme della tolleranza, o meglio ancora della solidarietà: i terroristi islamici non sono stati in grado di reggere al peso delle contraddizioni interne al nostro sistema democratico, non hanno saputo guardare all'alterità con la forza della curiosità ma solo con foga repressiva, omicida.

Norberto Bobbio, considerato uno dei massimi riferimenti italiani quando si parla di democrazia in senso politico e culturale, sostiene la necessità di considerare la diffusione sociale della democrazia in quanto metodo di presa di decisioni, a cominciare da quei presidi fondamentali che sono le fabbriche (potremmo estendere la posizione assunta da Bobbio a tutti i luoghi di lavoro senza falsare troppo il contenuto delle sue affermazioni). Tuttavia viene da domandarsi come sia possibile una tale infusione di democrazia nel sistema sociale senza considerare il modo concreto in cui le persone prendono decisioni, entrando cioè con senso critico nella microscopia psicologica del processo di decision making. I discorsi sociologico, politologico, antropologico e pedagogico sulla democrazia, se trascritti, divengono una letteratura raffinata e ricca, ma tuttavia non riescono a cogliere nel segno problemi che concretamente le democrazie si trovano ad affrontare: ad esempio, come gestire in modo democratico la frustrazione degli esclusi dalla maggioranza, cioè di chi aveva espresso un parere differente? Abbiamo tutti in mente le immagini dei corpi di polizia che, come anticorpi democratici, proteggono a suon di manganellate le opinioni della maggioranza dagli attacchi di folle di minoranze arrabbiate perché non rappresentate. E ancora, come occuparsi in modo democratico della nostra naturale, spontanea tendenza a distribuire in modo iniquo le risorse di cui disponiamo laddove abbiamo di fronte una persona che sentiamo simile a noi, piuttosto che una che percepiamo come diversa? Siamo in grado di tenere a bada il nostro pregiudizio, o spesso, pur da intellettuali, lo difendiamo circondandolo di argomenti ineccepibili sotto il profilo critico?

 La democrazia si attua entro uno schema cognitivo che sopporta e supporta la dissonanza, ossia da un lato vi deve essere nel soggetto democratico la capacità di stare nella tensione generata dalle contraddizioni, dall'altro deve esserci la promozione della contraddizione qua valore. Quella della contraddizione è tuttavia una posizione distante dalla liquidità á la Bauman, che - ricordiamolo - è un concetto che origina dall'estensione della riflessione su Marx, mette l'accento non tanto sulla compresenza di istanze identitarie anche incoerenti, bensì sul fatto che le identità possano essere interamente ridisegnate in modo artificiale. È distante anche dai discorsi sulla post-modernità, poiché non si tratta in senso stretto di un'irriducibile molteplicità, bensì di una conflittualità dinamica che sottopone l'Io al compito pressoché quotidiano di intervenire mediando, risolvendo, creando spazi in cui il conflitto possa essere accolto, trattato, elaborato.

Vale la pena accennare infatti al fatto che i frammenti dell'individualità post-moderna non sono necessariamente inerti, bensì intenzionali, e quindi carichi, pronti a ricomporsi in forme identitarie compiute da un lato, dall'altro non sono del tutto privi di memoria storica e quindi, anche nel consumismo più sfrenato, ripropongono forme antropologicamente pregnanti. Insomma: non è vero che il consumismo e il capitalismo ci hanno ridotti così male.

È vero però che il progetto democratico non si è ancora del tutto compiuto, e che anzi si è stati in grado di avviarlo solo sul piano tecnico (il meccanismo del voto) ma non sostanziale (la costruzione di uno spirito democratico). Si ha il sentore a livello popolare della maggiore utilità della democrazia, ma non si è del tutto convinti che possa davvero funzionare perché è difficile rispondere alla domanda sul «Come?». Sappiamo però che il voto di maggioranza non soddisfa, ma che le minoranze non possono condizionare un'intera società; siamo consci del fatto che è necessario che qualcuno decida per noi, ma non amiamo molto l'idea che il potere decisionale stia nelle mani di pochi.

Non possiamo pensare una democrazia al di fuori della capacità di sopportare il conflitto interiore rinunciando al bisogno di ricorrere alla violenza per eluderlo, di reggere la tensione della dissonanza cognitiva senza bisogno persuaderci di essere più coerenti di quello che siamo. Come disse Whitman «Certo che mi contraddico! Sono grande, contengo moltitudini»; e nulla più della capacità (e della forza) di essere moltitudine ci renderebbe democratici. Possiamo essere Charlie Hebdo senza condividere l'aggressività della loro satira, possiamo essere occidentali senza sposare in pieno il progetto sociale e umano del capitalismo, possiamo essere solidali con gli Stati Uniti senza essere omosessuali: possiamo insomma - e questo è il vero lusso della cultura occidentale - essere portatori sani di contraddizioni.

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