CONTRADDIZIONI INSINDACABILI

Gentile Susanna Camusso, mi rivolgo a lei anche se si dovrebbe indirizzare questa lettera a tutta la Sinistra, le scrivo per esprimere la mia opinione a riguardo della battaglia che sta sollevando in quel comparto sociale lasciato vuoto dalle politiche del renzismo. Mi riferisco in particolare al tentativo di ripristino dell'articolo 18 e alla campagna sul l'abolizione dei voucher: due passaggi ammirevoli, se consideriamo la deriva che il mondo del lavoro (non a caso ridefinito in quanto mercato dal linguaggio corrente) e il valore che, in un simile contesto, assumono sul piano culturale, oltre che politico. Vorrei quindi condividere con lei una riflessione che sto facendo ultimamente.

Devo premettere di non avere una conoscenza sistematica del pensiero della Sinistra, non so quali siano i contributi specifici di Lama e non so quali siano quelli di Trentin; non ho nemmeno mai ben capito i fondamenti dell'agire politico, che devo dire trovo assurdi in certi passaggi. In quanto scienziato sociale, però, ho avuto modo di comprendere due cose fondamentali: che l'azione pubblica è sempre frutto dell'interdipendenza di una rete complessa di fattori, e che esiste una differenza profonda nel modo in cui viene inteso il senso della parola politica tra chi la politica la fa rispetto al modo in cui la immagina l'uomo e la donna della strada (i non addetti ai lavori, per intenderci); differenza che chiarirò più avanti, se mi concede un po' di retorica.

Giusto per finire di qualificarmi, volevo dirle che sono anche un blogger trentenne, per non farmi mancare nulla, non sono convinto che questo sia un difetto anche se ultimamente anche dei blogger trentenni hanno ridacchiato i giornali; mi qualifico senz'altro per il mio essere post-politico almeno nell'utilizzo di un Social Network per rivolgermi a lei.

Devo dire che io e lei ci siamo comunque conosciuti anche dal vivo, in occasione di alcuni Natali consecutivi, qualche anno fa quando, faticando a sbarcare il lunario come ricercatore, andavo a caccia di proposte di lavoro di ogni genere. Tra varie, mi capitò di lavorare per un grande imprenditore, uno di quelli il cui nome rimane nell'Olimpo dell'italianità, ma non stiamo certo parlando di un Olivetti, bensì di uno che, quanto a gestione delle Risorse Umane, adotta i bei metodi di una volta: controllo, pressione, sorveglianza, intimidazione. Prendeva diversi ragazzi e ragazze nel periodo natalizio (gli elfi, ci chiamavano, ma non montavamo giocattoli: scaricavamo scatoloni pesanti, badavamo all'approvvigionamento in negozio, ogni tanto servivamo i clienti, in turni di 10 ore), rigorosamente a voucher, ma poi, non fidandosi della fedeltà di questi (riteneva che la flessibilità contrattuale fosse ragion sufficiente per dubitare del fatto che lavorassimo sodo), inviava dei controllori, che chiamavamo "sentinelle": personaggi che sostavano in piedi, dietro la cassa, non permettevano alcuno scambio di battute tra noi, guardavano male se ci azzardavamo a domandare qualcosa perché ormai, a detta loro, eravamo di casa e avremmo dovuto sapere tutto.

Lei acquistava lì i suoi regali di Natale. Per me dalla prima volta era diventata una specie di attesa, quella di Susanna Camusso, sentivo che sarebbe venuta anche quell'anno, e conoscevo i segni del suo arrivo: l'auto scura parcheggiata davanti al negozio, in un orario discreto, verso le 18.30, quando Milano è intenta a fare l'aperitivo, in modo da evitare sguardi curiosi. La prima volta che venne fui io a dire a tutti chi fosse lei, i miei colleghi non l'avevano riconosciuta; immagini l'espressione della nostra sentinella, divenuta improvvisamente gentile e premurosa con noi! Da quella volta in poi mi fu concesso di impacchettare io i suoi regali, e lei mi ha sempre dispensato complimenti dicendo che non sarebbe mai stata in grado di farlo bene come lo stavo facendo io. Possiamo dire quindi che ci siamo incontrato grazie ai voucher?

Arrivo al dunque. La flessibilità è stata un'occasione, per chi come me ha avuto un problema che sembra essere in Italia totalmente invisibile: mi sono mantenuto gli studi e la permanenza fuori sede totalmente da solo. Mi sono sempre organizzato lavorando molto, per datori diversi, durante il periodo delle lezioni e licenziandomi all'avvicinarsi delle sessioni d'esame; cercavo di essere meritevole sul lavoro, per garantirmi di essere ripreso passati gli esami. A volte ha funzionato.

Si potrebbe pensare che con uno sfondo così difficile, una volta laureato abbia cercato di rifugiarmi nella stabilità. Invece no, mi sono abituato a procacciarmi il lavoro, perché ho notato che la richiesta "Dai, scrivimi un progetto" arriva sempre dopo uno scambio significativo tra persone, e in seguito al reciproco stringersi di un rapporto di fiducia; e chi me lo fa fare di rinunciare a un tesoro così grande per andarmi a chiudere in un ufficio, dove un tempo indeterminato (fa paura l'aoristo del verbo "lavorare") mi ripagherebbe di tutte le piccole slealtà e scorrettezze sotto-soglia tra colleghi e colleghe.

Mi ha appassionato così tanto comporre il mio presente occupazionale come un mosaico significativo da voler aprire una partita IVA. Lessi in un articolo, forse un anno fa, che chi si apre una partita IVA alla lunga non regge alla tentazione di mettersi dalla parte della barricata opposta a lavoratori e lavoratrici assunti. Per me fu un monito, e sto cercando di rimanere comunque dalla parte giusta, che è quella della solidarietà, anche nei confronti di chi ha più protezioni di me.

Mi definisco un portatore sano di contraddizioni; come penso sia lei, che conduce una battaglia per annientare chi le impacchetto i regali di Natale.

Non è certo un momento facile per la lucidità dell'elaborazione, anche se il presente non lo è mai. Coesistono nella pancia dell'uomo e della donna di sinistra da un lato la solidarietà per chi difende il territorio da forme di colonizzazione di un nuovo che si fa strada bucando le montagne, sradicando alberi e demolendo storie (e Storia), dall'altro la spinta imprenditoriale di uomini qualsiasi, che decidono di far fruttare un proprio passatempo in quanto lavoro, magari con un aiutante (rigorosamente a Co.Co.Co. o a voucher per evitare di essere soffocati dalle spese) o di donne qualsiasi che affittano la casa ereditata da nonna ricorrendo alla famigerata cedolare secca. Ricordo che nel 2000, quando mi avvicinai per un breve periodo alla militanza politica, la fondatrice del circolo, ci spiegò di non poter venire alle manifestazioni in difesa dell'articolo 18 perché temeva doveva lavorare e non se la sentiva di rischiare.

Insomma, si è rigorosamente di Sinistra solo fino a quando si realizza che poveri un po' lo siamo anche noi, e disgraziati, e che poveri e disgraziati hanno diritto di sottrarsi all'onere della coerenza. È un diritto che esercitiamo tutti, anche lei.

Lo spaesamento di chi vive questo tempo (che definiremo liquido in onore del povero Baumann, ma che può essere definito in tanti altri modi) deriva dalla contraddizione da un lato di aver bisogno di quelle novità che sono parte costitutiva del paradigma attuale di esistenza, come i Social Network ad esempio e tutta la carica di umiliazione della socialità di cui sono forieri (almeno per l'utilizzo che ne fanno i trenta-quarantenni), dall'altro del vedere come unica via d'uscita la restaurazione di un passato idealizzato, e mettere un argine indistinto alle proposte della contemporaneità.

Io in questa contemporaneità, mio malgrado, ci vivo. E come me tanti altri e tante altre. Non ho mai usufruito dell'articolo 18, non mi sono mai sentito indeterminato, la mia formazione non è mai stata finanziata da nessuna azienda. Tuttavia ho sempre navigato tra le acque della flessibilità senza mai sentirmi precario.

Ho anche imparato che esistono due significati distinti del termine politica: può essere intesa infatti come arte del conseguimento e del mantenimento del consenso, o come assunzione di responsabilità nei confronti della comunità. Mi domando in quale senso della politica stia agendo il sindacato nel momento in cui propone una battaglia che nuovamente mi taglierà fuori ma che riceverà numerosi consensi da chi il lavoro e le tutele le ha già.

Vedo provenire da più fronti, a lei e alla dirigenza della CGIL, una critica convergente nei contenuti: il Sindacato non ha un progetto. Personalmente non mi trovo d'accordo, ma non posso non notare che i proclami delle battaglie sindacali guardano sempre a un glorioso passato e poco alla contemporaneità; insomma, il sindacato non vede mai me e quelli come me, se non come sottoprodotti di un neo-mercantilismo da contrastare. Le scrivo quindi per dirle di provare a occuparsi delle contraddizioni del presente, e di fare appello alle sue stesse contraddizioni interne, senza cercare di sanarle spazzandole via (o, peggio, ignorandole), bensì vedendo nella loro integrazione un modo per tramutarle in risorsa. Vorrei che il Sindacato fosse in grado di produrre slogan e battaglie che, una volta tanto, non mettano una barricata tra me libero professionista e gli altri lavoratori e lavoratrici. Desidero che il sindacato si occupi del diritto alla disconnessione (appena votato in Francia), perché avere tutto il giorno il grave sulla testa del controllo della posta elettronica può alla lunga stancare. Desidero un sindacato che guardi al reddito di cittadinanza come soluzione intelligente, e che ammetta che i sussidi di disoccupazione sono stati spesso accompagnati a lavoretti in nero. Desidero un sindacato che metta al centro i NEET, oltre che impiegati e operai. Vorrei ogni tanto sentirmi rappresentato, oltre che essere solidale con il resto di lavoratori e lavoratrici

Se ha letto, grazie.

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