SCENARI (DOPPIAMENTE) POSITIVI

Articolo apparso sul terzo numero di Real Life Magazine

L’epatite C ha rappresentato in questi ultimi anni, a partire quantomeno dall’introduzione degli antivirali diretti, un campo nel quale investire non solo in termini di risorse e di ricerca clinica e di base, ma anche di speranze e aspettative. Se infatti le terapie a base di interferone, per quanto efficaci, avevano costi elevati in termini di benessere delle persone, dal momento che comportavano un periodo di vera e propria sopportazione dei diffusi effetti collaterali, le terapie di nuova generazione hanno il pregio da un lato di adattarsi a tutti i genotipi virali, dall’altro di profilarsi sulle esigenze specifiche delle persone.

È per questo motivo che l’OMS ha potuto fissare come obiettivo strategico generale l’eliminazione del virus entro il 2030, e che il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi dichiara che questo obiettivo non solo è realistico, ma che il modello su come realizzarlo sarà una lezione che l’Italia insegnerà al resto del mondo.

Un recente studio condotto all’interno della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie per l’Epatite viRale ha messo a confronto in termini di costo-efficacia (e quindi di sostenibilità per il Sistema Sanitario Nazionale) da un lato il trattamento dell’Epatite C seguendo criteri di prioritizzazione basati sullo stadio di avanzamento delle patologie epatiche, dall’altro l’accesso universale alle terapie. Lo studio ha dimostrato, sia nel campione italiano che in quello europeo, che il trattamento di tutte le persone con HCV, anche quelle in stadio precoce, offre enormi benefici in termini di risparmio futuro e di vita in salute guadagnata. L’AIFA, che di recente ha rimosso i criteri di prioritizzazione dei trattamenti, ha di fatto reso possibile questo secondo scenario.

Tuttavia, l’eradicazione di HCV dalla popolazione infetta non è il solo immaginario seguito a questo importante passaggio istituzionale. Esiste infatti un bacino di persone per le quali il trattamento dell’Epatite C potrebbe avere effetti ancora più impattanti in termini di benessere: parliamo dei coinfetti, ossia delle circa 20-30 mila persone (secondo alcuni studi 60 mila) che hanno contratto sia il virus dell’HIV che quello dell’HCV. È infatti riportato in letteratura che le interazioni tra i due virus siano da sorvegliare, in quanto, per dirne una, aumenta il rischio di epatocarcinoma di 4 volte rispetto alla monoinfezione da HCV.

In questo momento l’attenzione all’eradicazione di HCV nella popolazione di persone coinfette è elevata, come dimostra il fatto che l’Istituto Spallanzani di Roma si stia muovendo in tal senso (l’intenzione, dichiarata dal Prof. Antinori, è di iniziare a trattarne 1000) e che la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali abbia lanciato la scorsa estate una campagna a favore dell’eradicazione. Fondazione The Bridge non è da meno, ed è al via di un progetto di eradicazione che vede coinvolti Clinici, Regioni, Operatori Sanitari, i pazienti, e che prevede di raggiungere il risultato in due anni in alcune Regioni-pilota.

La rilevanza strategica del trattamento delle persone coinfette deriva dal fatto che la stragrande maggioranza, il 95% secondo le stime, sia agganciata ai Centri Specializzati e sia sottoposta regolarmente a screening: si tratta dunque di una popolazione quasi del tutto scevra dal problema, tipico nelle monoinfezioni sia di HIV che di HCV, del sommerso, con le conseguenti difficoltà di contatto. Ma vi è soprattutto una rilevanza simbolica, data dal fatto si riporta al centro l’attenzione sull’HIV, coinvolgendo tutti gli stakeholder e mettendo in risalto una verità che sta passando in secondo piano: l’HIV c’è, e presenta ancora numerose complessità, ma con nuovi investimenti e più mirati è possibile vincere.

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