IL MORALISMO NON PAGA (ANZI: FA DANNI)

HIV non è un virus come gli altri. Non tanto dal punto di vista qualitativo, ma quantitativo: qualunque malattia infettiva, infatti, si porta dietro il fantasma del contatto-contagio, e viene assorbita a livello sociale nei sistemi di regole che stanno alla base dei rapporti cosiddetti educati; è pertanto scortese starnutire senza coprirsi con la mano, tossire in faccia agli altri, toccarli senza essersi lavati le mani, perché sono atti che evocano il terrore che la vicinanza con l'estraneo possa diventare un pericolo per noi.



HIV, però, si diceva, è diverso, perché si trascina dietro idee temibili,  come quelle secondo cui l'unzione di chi è infetto può lasciare in noi segni così profondi da portare alla morte per AIDS: tanto che, se HIV e AIDS sono due concetti molto ben distanziati in Medicina, non lo sono nel senso comune, che sovrappone i termini e non capisce perché si debbano operare tante cavillose distinzioni quando la sostanza del discorso è che di AIDS si muore, che è una malattia per poco di buono, o comunque per persone sregolate.

Chi immaginerebbe mai, quindi, che oggi il gruppo che si sta affacciando all'insieme delle categorie da tenere d'occhio è quello degli adolescenti? Stando agli ultimi dati dell'ISS, la percentuale delle nuove infezioni tra i 15-19enni è, dal 2010 al 2016, aumentato dello 1.1%, dallo 0.3% del 2010 al 1.4% del 2016, per la maggior parte diagnosi che avvengono dopo un periodo breve dal contagio, riconducibili quindi a eventi legati alle abitudini sessuali e di vita più che ad eventi clinici quali la trasmissione verticale da madre a figlio.

Non deve stupire, pertanto, se l'ultimo rapporto Unicef racconta che circa 30 adolescenti all'ora nel mondo sono stati contagiati dall'HIV. O forse stupisce, il dato, perché sugli adolescenti grava ancora un intento de-sessualizzante, un'aura di purezza che gli adulti attribuiscono loro, forse perché è difficile immaginare che il passaggio dall'infanzia all'adolescenza è segnato dalla nascita del desiderio erotico. Da uno studio condotto nel 2016 dall'Università Cattolica di Milano, risulta che l'età del primo rapporto sessuale nel gruppo di soggetti sia attorno ai 15 anni, e ha un fine prevalentemente strumentale, ossia è un laboratorio in cui mettersi alla prova e trovare risposta alle tante domande che ragazze e ragazzi si pongono sul proprio corpo e sul proprio valore. Non bisogna dimenticare, però, l'inchiesta condotta da Beatrice Borromeo per Il Fatto Quotidiano, da cui emerge che l'attività sessuale non è per gli adolescenti solo l'esito di una spinta interna, ma anche ciò che deriva dalla pressione dei coetanei, per i quali «Se sei vergine sei una sfigata»; inoltre, anche il modo di avere rapporti sembra essersi allontanato dall'immagine patinata de Il Tempo delle Mele, mentre sembra aumentare il consumo di alcol e droghe tra gli 11-19enni, come dimostrano i dati del 2014 dell'Osservatorio Adolescenza del Telefono Azzurro, e non è difficile immaginare che gli scenari sfrenati raccontati dalla serie TV Skins possano verificarsi davvero.

Bisogna pertanto rompere ogni indugio, e iniziare a occuparsi dei comportamenti reali delle persone, anche degli adolescenti, perché questo gruppo rischia di essere nei prossimi il futuro bacino di diffusione di un virus che invece, con moltissima fatica ma anche moltissimi successi, si è arrivati a tenere sotto controllo; continuare ad avere uno sguardo moralistico per preservare la nostra idea di purezza è invece controproducente e rischioso.





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