NON PERSEGUITIAMO I FANTASMI
È ovvio che non stia parlando del caso, né che stia mettendo in dubbio il fatto che il destino sia più un bisogno umano che una reale costruzione nell'architettura del mondo. Però, ecco, se non esiste il destino, esiste il nostro desiderare, e questo sì che è in grado di predisporre, potentemente anche, file di accadimenti che insieme diventano senso. Per questo un episodio raccontato, una poesia ritrovata, un articolo letto e un film rivisto sono una sciarada, in maniera così lampante da lasciar sospendere ogni critica; proprio come quando ci si alza dal letto e si attraversa il corridoio, ancora buio per la notte, e diviene chiaro che lei è lì, quell'immagine figlia del lutto, quella persona che non pensavamo potesse tornare.
Il ritorno, è questa la parola che racchiude tutte queste schegge di senso. Perché è nello scrigno del ritorno che sono racchiusi i fantasmi. I fantasmi sono creature che solidificano il senso profondo del desiderio, ma che non vanno oltre questa formula psichica. Non c'è fantasma che non abbia una casa. Un nascondiglio segreto. Che sia un recesso madido di muffa, dove tra giochi e scoperte il nostro spirito si trasforma irrimediabilmente, o una vieja calle di cui ancora sentiamo l'amore, e l'odore di polvere che si solleva nelle giornate di vento, il fantasma se ne sta zitto zitto in un tempo di neve.
È inafferrabile, intoccabile, trasparente a ogni nostro tentativo di abbracciarlo, scacciarlo via, carezzarlo. Non si trattiene, mai, se non per ricordarci quanto possa essere triste l'aver lasciato insoluto quel barlume unico di possibilità che sono le occasioni. Spesso è qui che nasce il malinteso. Per noi umani è facile sentirci assediati; a volte, sembra che l'assedio sia una forma inevitabile della relazione con l'altro. Ma sentirci assediati, perseguitati, ma questo ci fa perdere di vista l'importanza che il fantasma ha nei nostri riguardi: haunted, che significa "infestato", ha una radice proto-germanica che significa "riportare a casa".
In queste vacanze natalizie, molti di noi sono tornati in famiglia. E questo ci ha fatti sentire in parte a casa, in parte gettati in un passato spettrale: girarsi intorno, nella stanza in cui siamo cresciuti, rivedere gli amici lasciati al paese, e quelli andati via come noi, un rituale che sta a ricordarci che, ormai, ci sono pezzi di noi che abbiamo definitivamente perso.
Ci sentiamo facilmente assediati e perseguitati dal fantasma. Nonostante sia proprio la sua presenza a salvarci dalla vista orribile della disgregazione. Il fantasma ricostruisce una parte di complessità e la fissa, la interpreta, dandoci la possibilità di farla nostra o, ancora meglio, di tenerla al nostro fianco. Perché tutto questo nostro agitarci alla vista del fantasma, tutto questo nostro bisogno di fare qualcosa, non è altro che una danza attorno a una verità che ci fonda, e che possiamo invece tornare a visitare. Per questo, non perseguitiamo i fantasmi; che, nel counselling, significa di non rincorrere il bisogno di risolvere ogni problema, altrui e nostro, solo perché questo termine, problema, si è trovato fortunosamente dalla parte sbagliata di quello scisma insensato che è quello tra positivo e negativo. Piuttosto, cerchiamo di preservarne la casa, perché potrebbe darsi che un giorno, tornare a quel passato, sarà fondamentale per noi.
Il ritorno, è questa la parola che racchiude tutte queste schegge di senso. Perché è nello scrigno del ritorno che sono racchiusi i fantasmi. I fantasmi sono creature che solidificano il senso profondo del desiderio, ma che non vanno oltre questa formula psichica. Non c'è fantasma che non abbia una casa. Un nascondiglio segreto. Che sia un recesso madido di muffa, dove tra giochi e scoperte il nostro spirito si trasforma irrimediabilmente, o una vieja calle di cui ancora sentiamo l'amore, e l'odore di polvere che si solleva nelle giornate di vento, il fantasma se ne sta zitto zitto in un tempo di neve.
È inafferrabile, intoccabile, trasparente a ogni nostro tentativo di abbracciarlo, scacciarlo via, carezzarlo. Non si trattiene, mai, se non per ricordarci quanto possa essere triste l'aver lasciato insoluto quel barlume unico di possibilità che sono le occasioni. Spesso è qui che nasce il malinteso. Per noi umani è facile sentirci assediati; a volte, sembra che l'assedio sia una forma inevitabile della relazione con l'altro. Ma sentirci assediati, perseguitati, ma questo ci fa perdere di vista l'importanza che il fantasma ha nei nostri riguardi: haunted, che significa "infestato", ha una radice proto-germanica che significa "riportare a casa".
In queste vacanze natalizie, molti di noi sono tornati in famiglia. E questo ci ha fatti sentire in parte a casa, in parte gettati in un passato spettrale: girarsi intorno, nella stanza in cui siamo cresciuti, rivedere gli amici lasciati al paese, e quelli andati via come noi, un rituale che sta a ricordarci che, ormai, ci sono pezzi di noi che abbiamo definitivamente perso.
Ci sentiamo facilmente assediati e perseguitati dal fantasma. Nonostante sia proprio la sua presenza a salvarci dalla vista orribile della disgregazione. Il fantasma ricostruisce una parte di complessità e la fissa, la interpreta, dandoci la possibilità di farla nostra o, ancora meglio, di tenerla al nostro fianco. Perché tutto questo nostro agitarci alla vista del fantasma, tutto questo nostro bisogno di fare qualcosa, non è altro che una danza attorno a una verità che ci fonda, e che possiamo invece tornare a visitare. Per questo, non perseguitiamo i fantasmi; che, nel counselling, significa di non rincorrere il bisogno di risolvere ogni problema, altrui e nostro, solo perché questo termine, problema, si è trovato fortunosamente dalla parte sbagliata di quello scisma insensato che è quello tra positivo e negativo. Piuttosto, cerchiamo di preservarne la casa, perché potrebbe darsi che un giorno, tornare a quel passato, sarà fondamentale per noi.