PER LE MIGRAZIONI SERVE UN APPROCCIO MICRO-TERRITORIALE

File:Sliding Doors.png - Wikipedia

Immaginate di avere di fronte a voi due porte: dietro la prima si cela un futuro prossimo fatto di difficoltà enorme nel trovare un lavoro che non sia vicino o del tutto sfruttamento, nel trovare una casa minimamente dignitosa, nel farvi un giro di conoscenze che non sia di persone che vivono la vostra stessa condizione di disagio e disperazione; dietro la seconda si nasconde un percorso fatto di scelte che stanno tutte in capo a voi, quanto studiare, verso che lavoro indirizzarvi, quando uscire di casa, dove e con chi andare a vivere. Ora, pensando a questi due percorsi, quale di questi due secondo voi avrà con più probabilità un esito sfavorevole, nella delinquenza, se non nel disturbo mentale, nel disadattamento? E, sempre secondo voi, quante persone saranno in grado senza alcun tipo di aiuto di creare una specie di galleria collaterale, per spostarsi dal primo percorso al secondo? Infine, una domanda cruciale: è in qualche modo rilevante ai fini dell'esito del percorso quali siano le caratteristiche fisiche di chi lo intraprende? Che so io, altezza, peso, genere, colore della pelle…?

A livello logico no, ma per come lavora la nostra psiche in società (e di questo si occupa la Psicologia Sociale) sì, le caratteristiche fisiche sono determinanti, anche se il consenso su quali siano quelle rilevanti muta con il procedere stesso della Storia. Un tempo, a prendere la porta A erano gli Italiani che migravano dal Meridione. Inizialmente uomini soli, raggiunti poi dalla famiglia, con valigie di cartone, abitudini, lingue, modi di ragionare inconciliabili con il posto che li accoglieva. Vivevano stipati in soffitte e alloggi di fortuna, dove condividevano lo spazio tra simili, o in famiglia; allora come oggi, i proprietari degli alloggi abusivi lucravano sugli affitti, in nero (ed è ciò di cui si racconta nel seguente video di The Vision). 


Le donne, quando sole, spesso si prostituivano; gli uomini, quando non riuscivano a trovare un lavoro regolare e a essere assorbiti dall'esplosione di posti di lavoro, si davano alla delinquenza. Questo spiega come mai anche oggi i migranti siano sovra-rappresentati nelle carceri e nelle statistiche sulla criminalità, nonostante non esista alcuna correlazione tra i due fenomeni: in pratica, a livello macroscopico i migranti sono aumentati negli ultimi quindici anni, mentre i reati sono diminuiti, quindi è impossibile istituire un nesso causale tra le due variabili. Tuttavia, è plausibile che, in quei territori in cui il disordine fosse elevato e la criminalità uno stile di vita consolidato, gruppi di migranti siano stati cooptati dal sistema criminale, o si siano organizzati in tal senso, dato che (ed è ciò di cui si parla nel seguente podcast di LaVoce.info) è dimostrato che la condizione di irregolarità favorisce comportamenti devianti. 


Per questo motivo è utile affrontare il fenomeno migratorio non solo guardando ai numeri e alle statistiche, ma cercando di andare a fondo di ciò che questi numeri e queste statistiche significano per le persone nei contesti in cui vivono. In questo senso, una chiamata forte al Terzo Settore che opera a livello locale è doverosa, in quanto il pregiudizio razzista risulta essere ampiamente sdoganato dall'affermarsi anche in Italia di una Destra populista e di una Destra neo-nazista, ed è necessario che, indipendentemente dal focus principale del progetto (educativo, comunitario, sulla disabilità ecc.) si dedichi del tempo a lavorare sui falsi miti, che sono una minaccia concreta al benessere. Un approccio micro-territoriale è il solo vero antidoto alla diffusione di un pregiudizio che, oltre che essere dannoso per i migranti, genera climi sociali di sfiducia ed erode la solidarietà.

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