I MOSTRI DELLA PORTA ACCANTO
Non credo sia possibile affrontare gli scritti di Hannah Arendt senza una solida preparazione filosofica; il rischio è cadere nel dilettantismo. Posso però raccontare qualcosa degli studi della Psicologia statunitense negli anni ‘60, tesi prevalentemente a dimostrare che, effettivamente, il male fosse quantomai sfuggente, scivoloso, non un mastodontico idolo scolpito in una montagna, ma il vicino di casa, il pescivendolo, l’insegnante. Tra tutti i nomi, per esempio, spicca quello di Stanley Milgram, nato a New York da immigrati ungheresi, fuggiti dalle miserie umane e belliche della Grande Guerra, ebreo, proprio nell’anno in cui Hitler divenne cancelliere e avviò il processo di istituzionalizzazione della barbarie. Il noto esperimento sull’obbedienza all’autorità mise in luce come gli esseri umani tendano a commettere atti crudeli qualora siano sottoposti alla pressione di un capo, ma anche di un gruppo, col favore della distanza - nell’esperimento fisica, ma si potrebbe dire anche umana - dalla vittima. Stato eteronomico, questo è ciò che induce lo sperimentatore quando chiede di aumentare il voltaggio della scarica elettrica - fittizia - somministrata al complice attore che si contorce dal dolore: si viene a costituire un mondo parallelo in cui i parametri del giusto e dello sbagliato vengono ricollocati al di fuori della nostra responsabilità.
Come avrà poi a dimostrare Zimbardo, con l’altrettanto celebre e suggestivo esperimento negli scantinati dell’Università di Stanford, dove ricostruì una prigione, non è solo l’obbedienza a un comando a spiegare comportamenti lesivi dell’incolumità altrui, ma anche una rete fitta e complessa di influenze orizzontali, tra pari, che calandosi nella parte trovano già nel ruolo che esercitano tutti i prodromi della violenza. Insomma, il male, se così può essere chiamato, può diventare facilmente un sistema sociale.
Tenuto conto del fatto che il senso della Giornata della Memoria si stia incrinando, e che forse la commemorazione mai ha trovato piena adesione, per il semplice fatto che la memoria è tutt’altro che un archivio statico di ricordi univoci, ma ha a che fare con la ricostruzione della realtà, con la definizione dell’identità di un individuo e del collettivo a cui appartiene, non stupisce che vi sia chi vorrà contrapporle il Giorno del Ricordo: del resto ne va del tesoro simbolico più grande, ossia della possibilità di essere definiti e riconosciuti in quanto vittime. Non stupisce nemmeno che, nel tentativo di calare nell’attualità la celebrazione di un evento dopotutto lontano, vi siano formule bizzarre di cultural appropriation quale quella della moda su TikTok di truccarsi da ebrei nei campi di prigionia, controverse e dissacranti, ma dopotutto prevedibili.
È invece stupefacente, ancorché banale, il fatto che vi sia qualcuno sul web che inciti alla deportazione, o al linciaggio, di chi abbia violato l’aura di intoccabilità della Giornata della Memoria. Il mio insegnante di teatro, nel prepararci a mettere in scena gli ebrei di Brecht, ci teneva a ribadire che ormai la Shoah fosse niente più che una scusa per piangersi addosso e organizzare eventi noiosi. Arrivo al dunque: non credo che la Arendt avesse del tutto ragione quando scriveva che «Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso». Forse ci possiamo dire che un po’ di mostruosità sia presente anche nel soggetto, oltre che nell’azione. Non è un’affermazione scientifica, sia chiaro, ma una provocazione, che però ha senso ribadire.
Alcune volte mi trovo a lavorare con un gruppi di cittadini arrabbiati; quando la legittimazione è debole, diviene molto difficile assumere una leadership, a volte ci vogliono mesi. Alcune volte mi è stato chiesto sin da subito a che titolo stessi lavorando con loro; è nei primi appuntamenti sorge un susseguirsi di malintesi, di interpretazioni distorte, a volte volutamente, di accuse di fatti mai avvenuti. Sulla mia presenza sono state fatte spesso elucubrazioni, interpretazioni che tutto tenevano in considerazione fuorché il dato di realtà; non di rado, si scopre col tempo che, a fomentarli, vi siano alcuni politici locali, simpatizzanti neo-fascisti. Insomma, occasioni utilissime per capire come dis-funzionano alcune dinamiche. Alcuni di loro, per esempio, si sentono profondamente offesi si propone loro un progetto, nato proprio sulla base di loro lamentele, pensando che il mio proporre sia un modo per dire loro che erano incapaci; altri sostengono di non aver bisogno di consigli, per non parlare di una spiccata tendenza a ricorrere a teorie cospirative e a manifestare un forte sentimento anti-istituzionale. Insomma, una rabbia pre-politica, che però viene sempre più intercettata e sfruttata.
Tornando a casa, ieri sera, ho pensato di premiarmi delle fatiche della giornata guardando Il tabaccaio di Vienna, che ha sullo sfondo l’affermazione del Nazismo nella Vienna di Freud. Alcune brevi scene mostrano come l’assurdità abbia preso corpo e guadagnato terreno, di settimana in settimana. Ho pensato che in fondo stia lì la spiegazione: la mostruosità esiste, accanto a noi, e sta nella profonda irrazionalità di alcune condotte, nell’impossibilità cronicizzata di dialogare, di condividere delle regole del gioco comuni, di concorrere in un’arena di rispetto. La mostruosità è una conversazione in cui le intenzioni non contano, in cui non ci si capisce mai, e che altro non fa che allargare precipizi, come nel peggiore litigio amoroso.
Ormai è noto che le persone in questione hanno un preciso profilo: si tratta di cittadine e cittadini con una scolarizzazione bassa, un tenore di vita un tempo medio o alto, ma gravemente danneggiato dalla crisi economica, che versano nella condizione di deprivazione relativa. Personalità che arrivano ad assumere i caratteri della Dark Triad, ossia un misto tra grandiosità, egoismo, ma anche tendenza alla manipolazione e mancanza di rimorso. Si tratta però, anche, di persone che stanno recuperando un senso di militanza politica, in quanto politici furbi costruiscono una loro rappresentanza, con il paradosso che a essere portate sul piano politico non sono istanze, ma emozioni, sensazioni, sentori. Defunta la Politica basata sulle utopie - che sono oggetti cognitivi, valoriali, sistemi motivazionali - si apre un nuovo possibile corso di Politica segnata dal rancore, che invece è un oggetto affettivo, complesso ma affettivo.
Concluderei con una considerazione: tenuto conto dell’attuale livello di sfiducia nelle istituzioni e nel prossimo, della tendenza dei conflitti, sociali e personali, a esacerbarsi, del grado di legittimazione politica della vessazione delle minoranze, e infine del livello di invidia sociale, non possiamo dire di essere in una zona franca. Guardando invece la storia del giovane Franz e della sua amicizia con Freud, ho proprio pensato che quella che stiamo attraversando è una transizione di fase, in cui uno stato di cose si frantuma, e i temi si rimescolano, dando vita a nuove soggettività mostruose. Non sarà la difesa strenua dei valori del passato a salvarci, ma la capacità di renderli nuovamente vivi, e funzionali per guardare al futuro.