ALLE DEMOCRAZIE SERVE TEMPO E… AMBIVALENZA

In Tunisia, nel caldo estivo, che in Nord Africa sta superando i 45 gradi, si fa la democrazia, attraverso quel discutere e pensare non sempre pacificato che Billig sottolineava essere il cuore della dialettica democratica. In un panorama in cui le cosiddette primavere arabe hanno lasciato dietro di sé un’eredità esigua e controversa, interrogarsi sul futuro prossimo dell'unico Paese uscito da quella stagione con una democrazia equivale a interrogarsi non solo sull'area MENA, ma sulle democrazie in sé e sul loro stato di salute in Coronaville, nel villaggio globale del coronavirus. 


Che la pandemia abbia esacerbato le criticità e i problemi (sociali, politici, economici) di ogni Paese è ormai narrazione comune. La Tunisia, già prima della CoViD-19, era a rischio fallimento, con una disoccupazione giovanile al 35%, un Prodotto Interno Lordo in crescita molto modesta rispetto alle esigenze di un Paese in via di sviluppo, un tunisino su cinque sotto la soglia di povertà; poco prima della caduta forzosa del Governo a opera di Saied 4 miliardi di prestito a Fondo Monetario Internazionale, e l'agenzia di rating Fitch l'aveva declassata a B-, ossia a rischio insolvenza. Gli oltre 18 mila decessi per coronavirus - su meno di dodici milioni di abitanti - ha aggravato la situazione. 

Chiaroscuri della democrazia tunisina

La decisione del Presidente Saied di mettere in pausa l'attività parlamentare e di dimettere il Governo in carica, appellandosi all'articolo 80 di quella Costituzione che è il simbolo della transizione democratica del Paese, è stata accolta enfatizzando alcuni pezzetti della vicenda. L'ex ambasciatore italiano in Tunisia Armando Sanguini definisce coraggiosa ma necessaria la scelta di Saied, a fronte di una gestione disastrosa dell'ultima ondata di CoViD-19 e, più in generale, di un corso di eventi che sembrava insistere troppo a lungo in un'area grigia, in una transizione in stallo.

Dopo la caduta della dittatura di Ben Ali, si è avviata una lenta transizione verso la democrazia, punteggiata da attentati terroristici da parte dello Stato Islamico, da assassinii politici e da manifestazioni di piazza che perdevano man mano il proprio smalto e si coloravano sempre di più di esasperazione. Hichem Mechichi, il premier rimosso da Saied, è stato il terzo premier nominato in un anno, il nono dal 2011, in generale il Parlamento è apparso sempre frammentato, nessuna forza politica supera il 25% dei seggi; a detta di Saied, la classe dirigente si è sempre mostrata corrotta e incompetente, poco all'altezza del compito che le spettava. Inoltre, i diritti umani non sono ancora forti, dal momento che diversi autori dei crimini di Stato consumati sotto la dittatura occupano ancora posizioni apicali o sono comunque impuniti.

Allo stesso tempo, non si può trascurare la visibilità internazionale del caso tunisino, che ha portato nel 2015 all'assegnazione del Premio Nobel per la pace, così come l'attività di documentazione e raccolta di testimonianze adoperata dell'Istanza di Verità e Giustizia, che ha portato alla luce le torture e le violenze della dittatura tra il 1955 e il 2013. 

Tra interessi generali e particolari 

Le reazioni della comunità internazionale portano alla luce alcuni elementi della scelta di Saied che potrebbero sfuggire a una lettura eccessivamente unilaterale, e che mostrano alcune dinamiche tra i network di influenza tunisini. Gli Emirati Arabi Uniti e l'Egitto appoggiano la scelta di Saied, in quanto modifica gli equilibri interni a loro favore: infatti, il premier licenziato è espressione della forza di maggioranza, Ennahda, che a sua volta è emanazione dei Fratelli Musulmani. Il raid ad Al-Jazeera (TV del Qatar) è un messaggio nei riguardi dell’asse Ankara-Doha, che aveva come base proprio il partito Ennahda. La Turchia, invece, condanna la mossa di Saied, esprimendo vicinanza alla maggioranza; di mezzo c'è anche la vicinanza con la Tripolitania. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno mostrato preoccupazione, e hanno invitato al ripristino di una situazione di stabilità; allo stesso tempo, l'Italia cerca di scongiurare nuovi sbarchi, dal momento che nel 2021 il 21% delle persone sbarcate in Italia è tunisina, il numero maggiore in termini assoluti (più di cinquemila). 

Dal 2011 Ennahda si è imposta come principale forza nel Paese. Saied è indipendente, professore di Diritto Costituzionale, si è presentato senza l'appoggio di un partito e ha vinto nel 2019 grazie a un programma incentrato sulla lotta alla corruzione e all'inefficienza, con qualche tratto conservatore legato all'ordine sociale. Nel corso della sua presidenza ha proposto più volte l'idea di una riforma costituzionale che desse più potere al Presidente, apparentemente per ovviare alla litigiosità del Parlamento e alla lentezza che ne deriva. Il presidente del Parlamento Rached Gannouchi ha accusato il Presidente di aver fatto un colpo di Stato, e dà voce così a un dubbio comune. 

Tra ambivalenze e moti ondosi

In Tunisia vi è un'insoddisfazione diffusa verso la democrazia stessa, così come è stata interpretata dal Governo; il 69% della popolazione non è soddisfatto. Il decimo anniversario della morte di Bouazizi, che ha dato il via alla Rivoluzione dei Gelsomini, è stato celebrato con saccheggi in tutte le principali città. L'articolo 80 della Costituzione consente al Presidmete di mettere in pausa l'attività del Parlamento, di fronte a un pericolo imminente. Non è ancora dato sapere se dietro al licenziamento del primo ministro Hichem Mechichi vi sia la volontà di centralizzare maggiormente i network del potere. Anche la richiesta di revoca dell'immunità dei deputati ha un sapore dubbio, in un contesto stratificato e saturo di ambivalenze. 

Il successo del processo di transizione democratica in Tunisia risiede nel lungo e lento lavorìo di mutui accomodamenti tra ideologie e religioni, negoziazioni e percorsi di cooperazione (Stepan, 2016); leadership troppo forti, anche se richieste a gran voce,sono nemiche di quell'ambivalenza che, come sottolinea Billig, è strutturale nei processi democratici (1982). 
Per citare un position paper della Freedom House:

Democratic states also need to coordinate their foreign policies with a focus on core principles, not just security concerns or geopolitical competition.

È importante comprendere che l'ago della bilancia sarà la comunità internazionale stessa, che finora si è sottratta alle richieste di aiuto della Tunisia, ma che è cruciale nel contrastare la recessione democratica  (Diamond, 2015) di cui anche questo episodio potrebbe rivelarsi parte. 

Bibliografia

Stepan, A. (2016). Multiple but complementary, not conflictual, leaderships: The tunisian democratic transition in comparative perspective. Daedalus145(3), 95–108. https://doi.org/10.1162/DAED_a_00400

Billig, M. (1982). Ideology and social psychology: Extremism, moderation, and contradiction. Palgrave Macmillan.

Csaky, Z. (2021). Nations in Transit 2021 - The Antidemocratic Turn. Freedom House. 

Diamond, L. (2015). Facing up to the democratic recession. Journal of Democracy26(1), 141-155.

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