GENEALOGIA DELLA CRISI

I vettori delle crisi sono sempre difficili da cogliere, nominare, analizzare: va da sé che le crisi stesse si presentino come un’esplosione di temi, come sistemi impazziti. È per questo che andrebbero prevenute: ognuno si trova poi a raccontare un proprio punto di vista dis-integrato, fare sintesi diviene pressoché impossibile, lo sguardo locale prevale su quello complessivo. Una prospettiva genealogica può aiutare a fare chiarezza.

Draghi si è insediato sulla scorta di una necessità, che potrebbe essere tutta riassunta nella formula della responsabilità nazionale usata nel suo discorso di insediamento: «Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d'accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell'avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità». 




Non molto tempo dopo quel 13 febbraio 2021, a un anno di distanza, il Governo ha già attraversato una fase molto turbolenta: sull’elezione del Capo dello Stato i partiti, soprattutto quelli che hanno espresso ministri, hanno mostrato con grande evidenza la loro litigiosità e insofferenza, stare insieme nel perimetro della responsabilità comune appariva difficile; lo stesso Draghi ha cercato di sfilarsi dal ruolo di premier e dalla politique politicienne, proponendosi come sostituto di Mattarella. 

Subito dopo il suo reinsediamento, Mattarella ha tenuto un discorso solenne, dal portato programmatico, in cui ha richiamato i partiti alla responsabilità di ricostruire un legame con gli elettori e ha elogiato il Parlamento come il luogo più alto della rappresentanza democratica. Ci sarebbe da chiedersi se e come questo sia effettivamente avvenuto in questi sei mesi, un tempo sufficiente ad avviare dei processi di cambiamento. Al discorso di Mattarella fornisce idealmente un commento, seppur a distanza di mesi, un’intervista di Giulio Cavalli a Tomaso Montanari, in cui il rettore sottolinea l’anomalia di un Capo dello Stato che detta l’agenda al Governo, di un Governo che la detta al Parlamento, di un giornalismo che non rileva la questione. 

Da questo punto di vista, il Governo Draghi ha registrato alcuni primati importanti, che ne qualificano la natura: ha posto la fiducia in 55 provvedimenti, secondo solo a Renzi, ma in un periodo più contratto, per cui è primo per questioni di fiducia al mese; ha approvato 125 leggi in via definitiva, terzo rispetto al governo Berlusconi IV e Renzi; è secondo per leggi approvate al mese (al primo posto il governo Renzi). Un ritmo di lavoro sostenuto, un’agenda blindata, che ha ribaltato di fatto gli equilibri, appunto, tra Parlamento e Governo: con 8 leggi su 10 di iniziativa governativa, lo spazio lasciato alle Camere per occuparsi di altri temi e riavvicinare i cittadini non può che essere angusto e compresso; così compresso da rischiare l’implosione, che poi è effettivamente arrivata un istante dopo il discorso «Siete pronti a ricostruire il patto che ci ha unito?».

Le premesse della crisi c’erano tutte da inizio anno, ed erano chiare; eleggere un solo responsabile come capro espiatorio rischia di nascondere le cause reali di quanto accaduto. Mario Draghi ha sognato di poter governare l’Italia senza il rumore di fondo della politica, che ha sempre considerato - e lo ha esplicitato più volte - generatrice di pregiudizio e divisioni. Tuttavia, in Parlamento si è verificato quello che è accaduto anche in tutto il Paese: è circolata l’insofferenza per il protrarsi del senso di emergenza e crisi e il desiderio imponente di tornare alla normalità. 

Il Governo Draghi ha scavato tracce profonde nei partitiha creato divisioni interne che sono state alla base dei terremoti che poi hanno portato alla sua chiusura. Il Governo Draghi non è stato solo un governo tra tanti, ma ha ridefinito lo spazio politico e introdotto nuove divisioni (Russo e Valbruzzi, 2022): da un sistema partitico organizzato per ideologie si è passati a una differenziazione in base a specifiche istanze; Lega e Fratelli d’Italia, fino al 2021 affini rispetto a diversi temi, si sono allontanati: la permanenza di Fd’I all’opposizione ha consentito a Giorgia Meloni di intestarsi le battaglie politiche contro il Green Pass e le altre misure di contenimento della pandemia, mentre ha reso saliente il profilo istituzionale della Lega dando rilievo ai governatori regionali. Dacché l’Italia era considerata il laboratorio dei populismi (D’Alimonte, 2019; Verbeek e Zaslove, 2016; Tarchi, 2015), l’integrazione con l’establishment ha ibernato ogni pulsione populista (de Luca, 2021), fino alla scissione del partito populista per eccellenza, il Movimento 5 Stelle. Il PD si troverà a scegliere quale delle sue tre anime (Natale, 2019) far prevalere: l’amalgama, il vecchio stampo o il pragmatismo.

Il Governo dimissionario si occuperà di ordinaria amministrazione, che significa proseguire nel lavoro a favore del PNRR, mentre altri capitoli cruciali come la politica estera, i diritti, le disuguaglianze senza legittimazione politica non potranno essere sviluppati tanto facilmente. Non sono assenti rischi nemmeno per il Recovery Plan (Oxford Analytica, 2021), dal momento che l’ottenimento della seconda tranche di aiuti è condizionata al compimento di 55 obiettivi entro la fine dell’anno. 



I sondaggi danno Giorgia Meloni favorita. Le crisi, indipendentemente dal fatto che siano economiche, politiche o sanitarie, sono il terreno di coltura ideale per i populismi (Bobba e McDonnell, 2015). La connessione tra elettori e politica sembra possibile solo nel perimetro ristretto di questioni puntuali, socialmente salienti; una salienza raggiunta però a livello di comunicazione (soprattutto social) e non di analisi, per cui si parla moltissimo di mascherine e di vaccini, poco o niente di povertà, disuguaglianze e vulnerabilità sociale. Secondo il New York Times, la miscela tra polarizzazione sociale, debito e instabilità politica rischia di avvicinare il Paese al sentiment post-fascista. La differenza dal M5S sta nel network su cui il partito di Giorgia Meloni poggia: Fd'I ha fatto incetta di indagati e condannati, che costituiscono la base di militanza a livello locale; in altri termini, il populismo meloniano è più che un clima sociale, è un velo che nasconde gruppi neonazisti, affaristi collusi con le mafie e organizzazioni violente. 


Russo, L., & Valbruzzi, M. (2022). The impact of the pandemic on the Italian party system. The Draghi government and the ‘new’polarisation. Contemporary Italian Politics, 14(2), 172-190.

D'Alimonte, R. (2019). How the populists won in Italy. Journal of Democracy, 30(1), 114-127.

Verbeek, B., & Zaslove, A. (2016). Italy: a case of mutating populism?. Democratization, 23(2), 304-323.

Tarchi, M. (2015). Italy: the promised land of populism?. Contemporary Italian Politics, 7(3), 273-285.

Oxford Analytica. (2021). Draghi move would increase instability risk in Italy. Emerald Expert Briefings, (oxan-es).

Natale, P. (2019). The three perspectives of the left and the gradual loss of its electorate. In The Italian General Election of 2018 (pp. 97-119). Palgrave Macmillan, Cham.


Popular Posts