LA CINA ALLA RICERCA DI UN’IDENTITÀ SOCIALE

Terminata la fase pandemica, di Cina si è tornato a parlare in modo controverso. Da un lato economisti come Stiglitz parlano di secolo cinese riferendosi a quello attuale, in cui gli Stati Uniti verranno secondo le previsioni surclassati in quanto potenza economica, dall’altro la Cina si situa al centro di tensioni geopolitiche di tale portata da non garantire più quell’appoggio pressoché unilaterale avuto in passato.



Per il Partito Comunista Cinese l’immagine internazionale è un asset cruciale. Ancora quando la pandemia era ancora in corso, ha intrapreso diverse azioni per desinizzare il virus e consolidare la propria presenza nel mondo. Il Partito Comunista Cinese sta accumulando riserve di soft power cinese attraverso diversi canali, tra cui il calcio e gli sport invernali in occasione delle Olimpiadi 2022, anche se tra le iniziative più importanti si può certamente annoverare la Belt and Road Initiative, consistente in un piano di investimenti in infrastrutture per meglio collegare Cina ed Eurasia. 

Tuttavia, sul fronte interno e su quello internazionale la Cina sta perdendo la propria nomea di potenza economica incombente, per via di numerosi fallimenti e problemi che non si sta rivelando all’altezza di affrontare. 

A livello interno, nel 2020 il presidente Xi dichiarava di aver ridotto a zero la percentuale di popolazione in povertà assoluta, mentre la classe media è cresciuta dal 3.1% della popolazione nel 2000 al 50.8% nel 2018; tuttavia, il 17% della popolazione vive ancora con meno di 5.5 dollari al giorno e poco meno della metà guadagna meno di 10 dollari. Nel frattempo, tra il 2020 e il 2021 i miliardari cinesi sono passati da 388 a 626, motivo per cui nel 2021 il Partito Comunista Cinese adottava una strategia di rilancio denominata prosperità comune, basata sulla riduzione delle disuguaglianze, dichiarando al settore privato quella che è stata da molti commentatori percepita come una vera e propria battaglia. Il piano quinquennale del 2021, inoltre, ha disposto la strategia della doppia circolazione, che punta a un mercato in cui la domanda interna sia favorita, a discapito delle esportazioni; dunque una Cina più interessata al raggiungimento dell’autosufficienza che alle esportazioni. Lette l’una accanto all’altra, le due strategie assumono i contorni di una strategia generale di riallocazione di risorse a sostegno dei consumi, nel tentativo di recuperare un tasso di crescita che già nel 2020 aveva subito importanti rallentamenti, di cui proprio il calo vertiginoso dei consumi è un’evidenza. Il rilancio dei consumi interni non ha prodotto gli effetti desiderati; a posteriori, la valutazione dell’efficacia della prosperità comune è negativa: si sono avvicinati alla media i salari dei miliardari, ma non si è fatto molto per aumentare la ricchezza delle fasce più povere.

Sul versante esterno, la firma del memorandum di intesa relativo alla cosiddetta Nuova Via della Seta è stata letta come un rischio di cessione di sovranità, in cambio di investimenti tramite strumenti quali i Panda Bond; la scelta del Governo Conte II di proseguire aveva provocato non pochi imbarazzi all’interno del G7, ed è possibile che il Governo Meloni abbandoni il campo. Anche sul versante dell’altro grosso cantiere negoziale, la Comprehensive Agreement on Investment, è stato un fallimento. Si tratta di un percorso che ha coinvolto per più di dieci anni l’UE e la Cina, e diverse decine di round di negoziati Unione Europea e Governo cinese, e che aveva come oggetto la costruzione di partnership anche sul versante della Comprehensive Agreement on Investment, che ha coinvolto per più di dieci anni Unione Europea e Governo cinese, e che aveva come oggetto la costruzione di partnership commerciali soddisfacenti e sicure; benché si è sviluppato in diverse decine di round di negoziati, ad aprile 2023 Ursula von der Leyen ha dichiarato in conclusione del suo viaggio a Pechino che l’accordo “did not came up”. 

Un sondaggio di Pew Research mostra come i Paesi con economie più avanzate tendono a vedere la Cina con sospetto, fatta eccezione per l’Italia, che in Europa assume posizioni tiepide, simili a quelle della Polonia; diverso è l’atteggiamento dei Paesi a reddito medio, che tendono a vedere la Cina come un partner affidabile se non addirittura privilegiato. In particolare, il sondaggio mostra come la politica internazionale cinese sia vista da diversi Paesi occidentali come un fattore di destabilizzazione degli equilibri globali, e quindi un potenziale pericolo per la sicurezza, mentre vi è concordanza tra tutti i 24 Paesi in cui è stata svolta la survey circa il fatto che l’avanzamento tecnologico cinese sia massimo. 

L’atteggiamento nei confronti della Cina può essere ricondotto a una griglia di lettura più antica, ben radicata nel senso comune, secondo la quale gli Occidentali nutrirebbero nei confronti degli Asiatici un pregiudizio detto di invidia. Secondo il modello dello Stereotype Content Model, le dimensioni che strutturano il pregiudizio sono la percezione di calorosità e di competenza; nel caso degli Asiatici, si tende ad attribuire loro una bassa predisposizione alle relazioni, alla reciprocità, alla correttezza, mentre risulta elevata la preparazione e la capacità di affrontare problemi complessi (Cuddy et al., 2007). Si viene a configurare così un pregiudizio detto di invidia, che tende a concludersi in dinamiche competitive. 

Che ruolo avrebbe la Cina nell’attuale panorama mondiale? Secondo Boon (2018), la politica internazionale di Xi Jinping ha superato il percorso di affermazione responsabile del potere cinese, passando a una fase di post-responsabilità; guardando al proprio passato e alle possibili proiezioni nel mondo, coniugando dogmatismo e ambizioni, la Cina non smette tuttavia di cercare un’identità sociale positiva (Boon, 2022). 

Boon, H. T. (2018). Xi’s China: Post-responsibility since 2013? In China’s Global Identity: Considering the Responsibilities of Great Power (pp. 130–160). Georgetown University Press. https://doi.org/10.2307/j.ctv7cjvnt.10

Boon, H. T. (2022). International identity construction: China’s pursuit of the responsible power identity and the American Other. European Journal of International Relations28(4), 808–833. https://doi.org/10.1177/13540661221117029

Cuddy, A. J. C., Fiske, S. T., & Glick, P. (2007). The BIAS map: Behaviors from intergroup affect and stereotypes. Journal of Personality and Social Psychology, 92(4), 631–648. https://doi.org/10.1037/0022-3514.92.4.631

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