L'ORGANIZZAZIONE TRA SENSE-MAKING E NONSENSE-MAKING

A volte capita che un progetto arrivi da dove non te lo aspetteresti mai. Vieni contattato da un'azienda per un motivo, dichiarato in una mail o in una conversazione telefonica, ma quando inizi con l'attività di consulenza vera e propria scopri che il problema, e quindi la sua soluzione, stanno altrove. È per questo motivo che l'attività di consulenza nasce innanzitutto da un'Analisi della Domanda: perché è necessario comprendere non solo cosa ci viene chiesto, ma cosa ci viene chiesto per davvero. 

Quando si lavora con le organizzazioni, siano esse imprese, cooperative, negozi, ci si relaziona sempre con un fenomeno particolare, in un certo senso opposto al sense-making organizzativo: il nonsense-making organizzativo, ossia la capacità delle organizzazioni di dedicare parte delle energie che la caratterizzano e la definiscono alla creazione di caos piuttosto che di ordine. È di solito proprio a questo livello che si colloca molto spesso la domanda iniziale, la quale, nell'intenzione del committente, trova una naturale risposta nella possibilità che il consulente riduca proprio il nonsense; senza nemmeno immaginare che la domanda stessa potrebbe essere un nonsense. 

Parlare di senso nelle organizzazioni vuol dire far riferimento al concetto di cultura, anche se il tipo di definizione di cultura che assumiamo condiziona fortemente il modo in cui intendiamo il senso. 

Non dobbiamo pensare che cultura sia solo il patrimonio di un'élite. Il Novecento ci ha consegnato due grandi riflessioni sul tema della cultura, e la prima è un'elaborazione del tema Come Conciliare Sapere Scientifico e Sapere Umanistico, rivitalizzando la posizione che apparteneva sostanzialmente ai Positivisti, Comte in capo a tutti: la cultura non può essere spaccata, ma organizzata in un complesso organico dove metodo scientifico e tensione umanistica non confliggono; allo stesso tempo uno dei grandi modelli su cui si fonda la scuola italiana, quello dell'Idealismo di Croce e Gentile, vede il sapere umanistico e quello tecnico-scientifico scissi, teso a formare i governatori il primo, gli imprenditori il secondo. L'impostazione scolastica italiana fa riferimento implicitamente a un grande equivoco di fondo, ossia la coincidenza tra cultura e sapere istituzionalizzato: quel che ci viene raccontato tra le righe da questo modo di intendere la questione è che un individuo inizia a essere un abitatore del proprio tempo grazie all'istruzione scolastica, e che è il confronto con i grandi modelli del passato a plasmarci in quanto persone a tutti gli effetti. 

È l'Antropologia Culturale, a cominciare da uno dei suoi padri fondatori, Boas, a includere nella definizione di cultura tutto ciò che pertiene a un sistema sociale: usanze, linguaggio, tradizioni, innovazioni, rappresentazioni sociali, voci, insomma (possiamo dire oggi) tutti i segni prodotti da una società, da essa riconosciuti e inclusi.  La tavolozza chiamata cultura viene così a essere allargata, e a includere quanto tende a sfuggire al regime dell'istituzionalizzazione. 

Ma quale percorso, quale processo interviene tra una cultura e l'azione (che poi è ciò che interessa in ottica psicologica)? Possiamo ipotizzare che i segni di cui è fatta una cultura esercitino un'influenza diretta sull'azione: perché ciò sia possibile è necessario definire quest'ultima come forma di semiosi del tutto omologa al linguaggio verbale; non c'è bisogno di alcuna opera di traduzione da un codice linguistico a uno comportamentale, perché ciascun atto viene a essere un segno unito a un significato di cui è espressione. Alternativamente, possiamo avanzare l'ipotesi che tra cultura e azione vi sia un percorso mediato da diversi passaggi, che equivalgono a punti in cui i contenuti di una cultura vengono elaborati: in tal senso, i soggetti non esprimono una cultura, ma si appropriano di essa, la traducono in azione, e dato che tradurre è tradire, come afferma il Prof. Eco, una parte di azione sfugge sempre al determinismo dei segni della cultura e nasce senza senso. 

Schein  descrive le culture organizzative come sistemi che si esprimono su tre livelli: uno concreto, materiale, che è quello ad esempio degli strumenti, dei gestionali, delle procedure codificate, uno manifesto, dichiarato, che è quello ad esempio delle Mission e delle Vision, e uno inconscio. Il modello dell'iceberg che l'autore sceglie per descrivere le culture organizzative è di chiara derivazione freudiana, anche se rispetto a Freud è doveroso operare un distinguo: non è infatti sufficiente parlare di inconscio per essere freudiani. 

Secondo Freud l'inconscio ha la dimensione del rimosso individuale, dell'esperienza indicibile, ed è quindi singolare; l'autore trova col tempo insufficiente la suddivisione della psiche in sistema inconscio e sistema preconscio/conscio, e passa da questa prima distinzione a quella in Es, Ego e Superego dove trovano posto la Natura (Es) e il Sociale (Superego). Jung, in polemica aperta con Freud, preferisce invece tracciare una distinzione nell'inconscio stesso, aprendolo alla dimensione plurale, collettiva,  in qualità di depositario de "le trame mitologiche, i motivi e le immagini che in ogni tempo e luogo possono riformarsi indipendentemente da ogni tradizione e migrazione storica" [1922]. L'inconscio organizzativo di Schein sembra avere più le fattezze di un inconscio junghiano che freudiano, ma sulla questione lo stesso Schein non sembra porsi molti interrogativi. Tuttavia, un'importante conseguenza sul piano pratico di questa opzione è che l'attività di consulenza considererà ogni segno, sia esso un'azione, un valore dichiarato o un artefatto culturale, espressione di un significato in parte nascosto, ma già strutturato in simbolo, immagine, mito. 

Thompson trascura, o dimentica, nel suo L'Azione Organizzativa, la cultura; il suo testo è valido ancora oggi come ottima guida alla gestione di un'organizzazione, eppure non si occupa minimamente di una questione assolutamente rilevante come quella del sense-making organizzativo. In realtà una questione culturale è onnipresente nel discorso di Thompson nei termini del lógos della strategia manageriale, che può essere di Sistema Chiuso, di Sistema Aperto o (più ragionevolmente) un'integrazione delle due; non è quindi affrontata in termini esplicitamente antropologici, né psicoanalitici, anche se è possibile far attraversare quanto l'autore afferma a proposito di strategia, Campo Organizzativo, Disegno Organizzativo, Tecnologia eccetera dall'argomento ortogonale sulla distinzione in artefatti, valori dichiarati e dimensione inconscia. 


Un punto importante riguarda il fatto che secondo Thompson l'Azione Organizzativa è un passaggio di sintesi di una strategia, ed esprime un tentativo di realizzarne l'intrinseca razionalità, dialogando e confliggendo con un ambiente stocastico. È dunque alla luce del caso, e non solo del senso, che va interpretato il comportamento degli attori all'interno di un'organizzazione. 

La visione funzionalista di Thompson sembrerebbe quindi vincere in resa esplicativa quella dell'approccio semiologico, ma questo è vero solo in parte. Possiamo immaginare che, ben lontano dal voler creare letteratura teoretica quanto più testi a indirizzo pratico, tesi a dare consigli più che a riflettere su problemi, Schein utilizzi il termine inconscio per indicare genericamente un qualcosa che sfugge all'elaborazione conscia e quindi al controllo. 
Nella semiotica a indirizzo strutturalista, che va da De Saussure fino a Lacan passando attraverso Deleuze e Levi-Strauss, viene riconosciuta l'esistenza di un tale scomodo affaire, che viene definito oggetto=x. L'oggetto=x equivale a un posto vuoto in una biblioteca, ossia una posizione riconoscibile in quanto identificata, ma vuota in quanto non occupata da nulla; è la differenza che viene a stabilirsi tra niente e vuoto, dove il niente non desta particolari attenzioni, mentre il vuoto è riconoscibile perché dovrebbe o potrebbe essere pieno. Secondo lo strutturalismo l'oggetto=x è tutt'altro che un incomodo: nel suo equivalere a uno zero, a un oggetto che non si costituisce in identità, grazie a questa sua capacità di sfuggire alle determinazioni è ciò che in grado di generare la struttura del senso; è perennemente in movimento, lungo vettori diversi, e muovendosi assegna ruoli e definizioni all'interno della struttura. Io, forzando un po' la mano, lo definirei l'Oggetto di Ricerca.

La visione funzionalista di Thompson sembrerebbe quindi vincere in resa esplicativa quella dell'approccio semiologico, ma questo è vero solo in parte. Possiamo immaginare che, ben lontano dal voler creare letteratura teoretica quanto più testi a indirizzo pratico, tesi a dare consigli più che a riflettere su problemi, Schein utilizzi il termine inconscio per indicare genericamente un qualcosa che sfugge all'elaborazione conscia e quindi al controllo. 

Nella semiotica a indirizzo strutturalista, che va da De Saussure fino a Lacan passando attraverso Deleuze e Levi-Strauss, viene riconosciuta l'esistenza di un tale scomodo affaire, che viene definito oggetto=x. L'oggetto=x equivale a un posto vuoto in una biblioteca, ossia una posizione riconoscibile in quanto identificata, ma vuota in quanto non occupata da nulla; è la differenza che viene a stabilirsi tra niente e vuoto, dove il niente non desta particolari attenzioni, mentre il vuoto è riconoscibile perché dovrebbe o potrebbe essere pieno. Secondo lo strutturalismo l'oggetto=x è tutt'altro che un incomodo: nel suo equivalere a uno zero, a un oggetto che non si costituisce in identità, grazie a questa sua capacità di sfuggire alle determinazioni è ciò che in grado di generare la struttura del senso; è perennemente in movimento, lungo vettori diversi, e muovendosi assegna ruoli e definizioni all'interno della struttura. Io, forzando un po' la mano, lo definirei l'Oggetto di Ricerca.

Ciò che diventa importante all'interno di un lavoro di consulenza è che è erroneo pensare che un posto vuoto equivalga al nulla; proviamo a leggere il limerick qui sotto, di Edward Lear, un tipico componimento poetico che fa della mancanza di senso il proprio senso: 

There was an Old Man of the Hague,
Whose ideas were excessively vague;
He built a balloon
To examin the moon,
That deluded Old Man of the Hague.

C'era un Vecchio Signore di Praga,
Che aveva sempre qualche idea vaga;
La luna volle veder,
Contro ogni umano parer, 
Fu deluso il Signore di Praga.
(traduzione mia)

Similmente La Gnosi delle Fanfole, di Fosco Maraini, ci mostra un testo che non si costruisce come significazione  in senso tradizionale, ma nel gioco dei rimandi autoreferenziali che ciascun piano ha con se stesso. Diverso sarebbe stato non scrivere niente, perché esiste una differenza fondamentale tra casella vuota e assenza di casella, tra aspettativa di senso e assenza di semiosi: il non-senso nasce dunque da un'aspettativa tradita, dal prendere atto che qualcosa manca, anche se risulterà molto arduo - impossibile - afferrarlo poiché questo qualcosa è ubiquo, mobile, è metafora di se stesso.

È dunque il non-senso ad animare le serie che costituiscono una struttura, e riportando il discorso all'organizzazione in quanto Azione Semiotica possiamo dire che anche questa assume una posizione, una semantica proprio grazie al non-senso. Ecco quindi che accanto alla dimensione del paradosso, di cui si è parlato in un altro intervento, bisogna tenere conto di quella del non-senso, e questa considerazione si inscrive nella natura più profondamente umanistica della Consulenza Generativa: aiutare gli altri ad aiutare se stessi , parafrasando Bateson, infatti, significa a volte avere il coraggio di guidare il nostro committente verso lo sconcertante e invalicabile muro del non-senso, pena la delusione del Vecchio Signore di Praga.

Lo considero un assioma sulla conoscenza e sulle relazioni umane: è bene diffidare da chi dice di avere risposte. È assai più utile (ed economicamente proficuo) essere affiancati da un consulente che faccia nascere in noi interrogativi, che rimetta in moto il nostro non-senso personale al fine di ridare un posto e un ruolo a tutto il resto. 

Popular Posts