GLI SPECIALISTI SOTTO ESAME

Commento all'articolo di Marcks, B. A., Woods, D. W., Teng, E. J., Twohig, M. P. [2004] What Do Those Who Know Know? Investigating Providers' Knowledge About Tourette's Syndrome and Its Treatment, in Cognitive and Behavioral Practice, N. 11, pp. 298-305, NL: Elsevier

Diagnosticare, ossia identificare a quale categoria patologica appartiene una sequenza di sintomi e segni, è forse uno dei compiti più ardui di ogni pratica clinica; non è un caso che sul tema della diagnosi e della difficoltà intrinseca di questa la serie televisiva Doctor House abbia costruito il proprio successo. Effettivamente il mestiere del diagnosta è per molti versi simile a quello dell'investigatore: entrambi devono raccogliere informazioni, pesarle, formulare ipotesi e valutare, via via che si procede con la raccolta di informazioni nuove, come e quanto le nostre ipotesi iniziali divengano probabili o improbabili. Temibili rischi sono in agguato a chi non conduca il processo diagnostico in modo meticoloso in ogni sua parte: che si diagnostichi qualcosa a chi è in realtà sano (detto errore di I tipo, o errore α) o che non ci si renda conto di un problema esistente (errore di II tipo, o errore β). E non è tutto, perché per ora abbiamo considerato il procedimento diagnostico come un processo che porti a una risposta SÌ o NO, rispetto a una singola ipotesi, mentre ciò che emerge sempre dalle diagnosi è la risposta FORSE. 


Detto questo, la diagnosi di Sindrome di Tourette è spesso un percorso travagliato, in cui non solo il FORSE è la dimensione spropositatamente più grande, ma in cui la mancanza di conoscenza della Sindrome immette bambini e genitori, adolescenti, adulti in una nebbia senza fine; si procede per tentativi, e ogni tentativo può anche durare molto tempo, che significa procrastinare le possibilità di miglioramento spesso fino a quando è troppo tardi e la situazione non è più recuperabile; per non considerare il fatto che, nell'indugiare in un tentativo sbagliato, spesso si adottano terapie che peggiorano il quadro clinico generale invece che migliorarlo. 

La diagnosi di Sindrome di Tourette, come già evidenziato in un altro articolo circa il resoconto autobiografico di un medico tourettico, 
quando una persona afferma di avere diversi tic motori e almeno un tic vocale per almeno un anno in modo ininterrotto; il presente complesso di sintomi, inoltre, deve insorgere prima dei 18 anni e non si devono avere altre possibili cause in campo, quali abuso di sostanze o condizioni mediche riconosciute: è infatti possibile che sintomi ticcosi siano riscontrabili in altri contesti problematici, così come è possibile che la Sindrome di Tourette si sovrapponga con altri disturbi. Spencer e collaboratori mettono in guardia sull'importanza di distinguere tra ST e Disturbo dell'Attenzione con Iperattività, considerando che circa il 50% dei tourettici ha anche problemi di attenzione e dirompenza del comportamento, ma anche sintomi ossessivi se non addirittura un vero e proprio Disturbo Ossessivo-Compulsivo; il 44% dei tourettici manifesta problemi di depressione, probabilmente a causa del fatto che circa il 75% viene preso in giro per via dei tic, come mostrano Jagger e collaboratori in una ricerca dell'82, e il 40% rivelano problemi nell'avere appuntamenti galanti o nel creare e mantenere amicizie, come indicano invece Champion, Fulton e Shady [1988].


I fattori in gioco sono di diversa natura, e spaziano da quelli genetici a quelli ambientali; e poiché geni e ambiente dialogano - come afferma LeDoux - col corpo utilizzando lo stesso codice, cioè le sinapsi, non possiamo escludere il piano neurologico, quando parliamo di Tourette. In sintesi, sono coinvolto nelle manifestazioni ticcose i Gangli della Base e la Corteccia Motoria Secondaria, così come l'eccessiva attività (l'eccessiva sensibilità?) dopaminergica; il 10-11% è il fattore di rischio per familiari di persone con Sindrome di Tourette di avere la medesima problematica. 
L'ambiente, come mostra Woods in un esemplare lavoro del 2001, è importante a tal punto che è sufficiente parlare di tic affinché questi aumentino, anche se questo varrebbe solo per i tic verbali e non per quelli motori (devo ammettere di trovarmi clinicamente in disaccordo con la certezza di questo risultato). 
Rimanendo sul piano dell'influenza ambientale, Commings mostra nel 1990 come il tentativo di tenere sotto controllo i tic provochi un effetto detto rebound, ossia il tentativo di controllare i tic fa sì che, dopo un breve periodo di sparizione di questi, riappaiano in misura anche maggiore di prima. 
i possibili modi per curare i sintomi sono di tipo farmacologico, anche se è doveroso segnalare gli effetti della più che proficua collaborazione tra medici e psicologi nell'aggredire i sintomi più fastidiosi (tic e manifestazioni ossessivo-compulsive) agendo sia sulle basi neurochimiche che sugli aspetti cognitivo-comportamentali, tramite tecniche che sfruttano la naturale propensione del cervello a trasformare la configurazione delle proprie connessioni in funzione dell'esperienza. 



Nel lavoro che stiamo proponendo, campione di 443 specialisti tra psichiatri, neurologi e psicologi è stato sottoposto a un questionario sulla Sindrome di Tourette, suddiviso in: conoscenza generica, conoscenza delle influenze ambientali e credenze circa l'efficacia dei vari trattamenti; in poche parole si è trattato di interrogarli sulla Sindrome. Quello che si è evidenziato come primo risultato è che non c'è differenza nei livelli di conoscenza generale tra Psicologi e Medici, mentre esiste un trend - al di sotto comunque della soglia di significatività statistica - tra chi aveva esperienza maggiore e conoscenza della Sindrome: lo abbiamo appena detto, l'esperienza trasforma le sinapsi, e questo vale per chiunque, anche per gli specialisti. La definizione dei tic è nota dalla totalità del campione, mentre solo la metà conosce i criteri diagnostici. 
Una piccola percentuale ritiene la coprolalia un sintomo presente nella maggioranza dei tourettici, mentre l'effetto rebound è noto più in chi ha avuto maggiore esperienza; non c'è differenza nel giudizio di efficacia del trattamento cognitivo-comportamentale. 


Sembrerebbe una situazione rosea, quella descritta nel lavoro di Marcks e collaboratori, anche se ci sono alcuni elementi che dovrebbero farci correggere al ribasso l'ottimismo. Innanzitutto la ricerca è stata condotta su un campione americano, e gli Stati Uniti hanno una cultura, di base e scientifica, in cui ha un posto più chiaro la Sindrome di Tourette, anche e soprattutto per la capacità organizzativa dell'associazionismo di militare e imporsi agli occhi del senso comune. In secondo luogo, la mancata conoscenza dell'effetto rebound va bene aldilà dell'aspetto tecnico, di per sé un cavillo trascurabile: è infatti spesso proprio questa lacuna a indurre molti medici, statunitensi e italiani, a consigliare ai propri pazienti l'autocontrollo come strategia per ridurre i tic. 



Champion L.M., Fulton W.A., Shady G.A. [1988] Tourette Syndrome and Social Functioning in a Canadian Population. Neuroscience and Behavioral Reviews, 12: pp. 255-257

Commings D.E. [1990] Tourette Syndrome and Human Behavior. Duarte, CA: Hope Press

Woods D.W., Watson T.S., Wolfe E., Twohig M.P., Friman P.C. [2001] Analyzing the Influence of Tic-Related Talk on Vocal and Motor Tics in Children with Tourette's Syndrome. Journal of Applied Behavior Analysis. 34: pp. 353-356

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