L'AMORE STIA AL CENTRO DI TUTTO

Cos'è, in buona sostanza, una famiglia? Sembrava chiarissima, lampante, naturale la risposta al quesito, prima che diverse nuove posizioni in quell'immensa galassia che è il sociale venissero poste in evidenza, a tal punto da far emergere un interrogativo critico su ciò che fino a poco fa poteva tranquillamente essere dato per assodato. Vediamo se ci viene in soccorso l'etimologia della parola, nell'idea che il ricorso all'origine linguistica del termine possa ritagliare un significato univoco e risolutivo. Stando alla radice del termine, <famul>, la parola "famiglia" denota una società domestica composta da persone non necessariamente consanguinee, che include una coppia di genitori, dei figli e la congerie di personale atto a mandare avanti le attività della casa.

Questa definizione certo non aiuta, perché è proprio la necessità della relazione consanguinea ciò su cui si fonda la definizione del senso comune di famiglia, mentre sembra questa essere messa in discussione dall'idea che sotto lo stesso tetto, nello stesso alveo familiare, possano essere riconosciuti legami di natura religiosa, giuridica e affettiva. L'argomento etimologico sembra avvallare il discorso emerso negli ultimi anni circa la necessità di rifondare la definizione di famiglia sulle relazioni amorose, siano esse tra fratelli, tra genitori o tra genitori e figli. 

Se si vuole tenere conto della sola comparsa di relazioni tra individui, diviene difficile distinguere tra famiglia e gruppo, ma se si connotano le relazioni come relazioni amorose si traccia un primo importante discrimine: infatti famiglia non è un solo aspetto di forma, perché anche il contenuto delle relazioni ne investe profondamente la definizione. Un insieme di persone tenute unite da vincoli amicali non è una famiglia, ma una formazione sociale suscettibile di autoregolazione, al di fuori di oneri di legge specifici, mentre se tali vincoli sono di natura amorosa e duraturi il fenomeno si affaccia in un perimetro in cui il diritto del singolo non è più in sé costitutivo, ma viene integrato da una giurisdizione che assegna alle relazioni affettive i diritti e i doveri che la società ritiene giusti. L'individuo, costituendo un legame amoroso con un altro individuo e aprendosi all'arduo compito di educare dei discendenti, rinuncia a parte della propria individualità dando vita a qualcosa di diverso, socialmente sovradeterminato.

Il diritto di famiglia da sempre è in dialogo con la società, e lo dimostra il fatto che per legge sono stati istituite famiglie via via differenti: l'irriducibilità dell'ordine legittimo a quello naturale mai come in questo campo si è rivelata essere un assunto di base.

Parlò di ippogrifo concettuale la sociologa Chiara Saraceno, in occasione di una conferenza che organizzammo con una piccola - che poi tanto piccola non fu - associazione studentesca negli anni in fondo quieti dell'Università, quando commentava l'articolo 29 della Costituzione Italiana: "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio"; ippogrifo, mostro mitologico composto di due parti inconciliabili, così non è possibile ridurre il sociale al naturale o il naturale al sociale. La dicitura "società naturale" non ha di fatto senso.

Descrive la Prof.ssa Saraceno le famiglie come campo di negoziazione e incontro dell'altro, conoscenza e - idealmente - apertura, occasione che ciascuno ha per cambiare proprio nella ricerca dell'equilibrio con un'altra persona.

Per un plesso così frequentato da variabili viene da domandarsi in che senso si compia il riferimento al concetto di natura. Tentiamo qui di approcciare due ipotesi.

Ipotesi 1: La famiglia naturale è quella sopravvissuta nel tempo ai colpi della Storia

La storica del Diritto Loredana Garlati pone un ideale cominciamento dell'idea cristiana di famiglia nell'Alto Medioevo, in un periodo in cui instabilità e paure fortemente radicate nella società avevano spinto la famiglia  a diventare unità, cellula sociale; facevano eccezione a tale chiusura su di sé le famiglie nobiliari, in cui il legame di sangue divenne veicolo di trasmissione del potere e dei beni materiali. Nel Medioevo Basso anche tra la borghesia si assistette alla trasformazione dalla funzione protettiva della famiglia a politica: marchio del legame di sangue era il cognome, che garantiva il diritto di tradizione del ruolo politico nella vita dei Comuni di generazione in generazione. Possiamo quindi, in modo sintetico, dire che l'elemento centrale nella concezione di famiglia era la trasmissione dei beni più che il legame di sangue: quest'ultimo si poneva a presidio del primo, ma solo per un incontro tra accidentalità storica e comodità gestionale. La primogenitura si trovò a essere il criterio che meglio assicurava la trasmissione dei beni nel tempo e l'accrescimento delle ricchezze del clan familiare; se le nozze per il mondo romano avevano un gusto antropologico, la parola nubere significa infatti "coprirsi il capo", a memoria del rituale sociale religioso che sanciva l'unione, il matrimonio si costituisce come un istituto volto a regolare il dovere della donna di fornire una discendenza. Matrimonio e patrimonio divengono quindi due facce della stessa medaglia, compito della madre è fornire la materia prima della perpetrazione del casato, i figli, compito del padre è investirla di averi; non dimentichiamo comunque che il matrimonio avveniva comunque in concomitanza con una dotazione, e se ci domandiamo quindi quale fosse il senso profondo degli istituti giuridici familiari ci rendiamo conto che la famiglia cristiana appare simile - assai più che all'immagine odierna del nucleo affettivo - a un'assicurazione sulla vita, a un sistema di welfare e a una holding di potere.

I capostipiti dell'Illuminismo in modo esplicito furono pionieri nel porre alla famiglia un'istanza morale di carattere generale. Non è un caso che proprio da esponenti quali Rousseau o Diderot avesse origine una riflessione sistematica sull'educazione dei figli: sono i primi scritti, i loro, in cui parole come affetto, cura, educazione entrano a far parte della costituzione della famiglia, non già in quanto esuberanti utopie, quanto più come dettami concreti di una società che mira a rinnovarsi e, nel rinnovamento, a migliorare. Gli Illuministi vedevano proprio nello stile di vita nobiliare, che della famiglia aveva fatto un problema principalmente economico, le direttrici della decadenza dell'uomo, ed era pertanto necessario dare spazio a un modo nuovo; tuttavia non tutto si risolve nella famiglia, e infatti famiglia e Stato divengono interlocutori nel dialogo educativo con così grande reciprocità che non è possibile pensare l'uno senza l'altro:

La famiglia è dunque, se si vuole, il primo modello delle società politiche: in queste il capo riproduce l'immagine del padre, il popolo quella dei figli, e tutti, essendo nati liberi e uguali, non cedono la loro libertà se non per la loro utilità. (da Contratto Sociale)

Nel proprio habitat naturale, sostiene il noto Cesare Beccaria, il bambino deve respirare libertà e uguaglianza affinché queste divengano fondamento del suo agire da cittadino; tuttavia è di individui che dovrebbe essere composto lo Stato, e non di famiglie. 

Il progetto di individualizzazione immaginato dagli Illuministi non giunse mai veramente a compimento, anche se il regime asburgico consentì alcuni importanti passi verso un depauperamento progressivo dello status plenipotenziario del pater familias sulla famiglia, e della Chiesa sul Diritto: tribunale familiare e matrimonio civile furono due tappe di rilievo nel processo. Sicuramente una novità a partire dalla metà del '700 fu che di famiglia si iniziò a discutere in quanto tema politico, e tra i primi scontri tra conservatori e progressisti annoveriamo quelli sul problema dei diritti delle donne, che non per tutti gli Illuministi dovevano essere pari a quelli degli uomini, e quelli dei rapporti tra Stato e Chiesa. 

Il primo Codice Civile dell'Italia Unita, il Codice Pisanelli del 1865, nacque come compromesso tra i due interlocutori del dibattito, incorporando alcune innovazioni del Codice Napoleonico e altre tradizioni del Diritto Romano: ad esempio, accanto alla laicizzazione del diritto si ripropone la centralità del capo di famiglia e la sua definizione sulla base del genere. 

In epoca fascista il diritto familiare mostra il chiaro intento di favorire l'aumento demografico, attraverso leggi che scoraggiavano qualsiasi forma di vita riconducibile all'individualismo e allo spirito entrepreneuse borghesi: funzione delle donne era quella di sposarsi e occuparsi della  prole, funzione degli uomini di lavorare e provvedere al sostentamento. Il celibato era tassato, così come venivano di fatto discriminate l'alfabetizzazione femminile, le scelte di divorzio (specialmente se avanzate dalle donne) e l'infecondità del legame coniugale. Il patriarcato diventa in quest'epoca un vero e sistema organizzativo in grado di preservare l'integrità politica ed economica dello Stato fascista, poiché la famiglia allargata è sia una cellula produttiva - il lavoro, è al centro, e attorno a questo l'uomo di casa sistema tutte le attività e i ruoli di moglie, figli e avi - che un'unità di consumo. Nel progetto fascista è solo con la piena rinuncia all'ideologia borghese individualista che lo Stato riesce a rimodernare le proprie strutture, e infatti è proprio quello, lo Stato, a porsi al di sopra degli individui come struttura sovradeterminante. 

Vediamo quindi come lo stesso riferimento alla famiglia cristiana sia stato in grado di produrre da sé una moltitudine di prospettive tra loro molto diverse. Lo stesso concetto di famiglia cristiana è stata oggetto di problematizzazione a partire proprio dalle origini del pensiero cristiano. San Marco e San Luca si interrogano su quale debba essere considerata la vera famiglia del cristiano, se quella naturale fondata sul legame di consanguineità o quella spirituale fondata sulla condivisione della fede; con curvature in parte distinte per grado di convinzione, entrambi attribuiscono alla famiglia spirituale una valenza maggiore. Evidentemente la famiglia cristiana è una forma mutata col tempo.

Ipotesi 2: La famiglia naturale è quella che rimane costante nello spazio

Per valutare questa ipotesi dobbiamo invece indossare gli abiti dell'antropologo e metterci in viaggio tra tribù, clan, micro-società oltre i confini del rassicurante mondo occidentale, incontrando le famiglie così come vengono costituite da Homo Sapiens Sapiens in Africa (e parliamo di un continente vastissimo), in Asia (similiter), in Sud America ecc. Verremmo a conoscenza di modi di vivere e costituire famiglie assai diversi tra loro: ad es. in alcune società africane i mariti si occupano dell'allevamento della prole mentre le mogli pensano al lavoro, mentre in altre non esiste una vera e propria maternità, in quanto tutta la comunità si occupa dei bambini. 

Quello che possiamo desumere, a mo' di assioma, è che le forme assunte dalle famiglie sono funzionali a un vivere sociale che è collocato nello spazio geografico e nel tempo storico. 

In generale potremmo riportare le bizzarrie esotiche enarrate dall'Antropologia Culturale al fatto che parliamo di terre lontane, e di conseguenza talmente differenti da rendere vano ogni paragone. Tuttavia, la nostra stessa società occidentale si è formata prendendo decisioni via via diverse rispetto agli cui abbiamo sopra accennato, e anche al suo interno vi è un grande sincretismo di modelli.

La forza dell'amore che vince ogni barriera, anche quella di classe, un topos nei nostri racconti sentimentali, è stato ad esempio un passaggio epocale da una concezione e endogamica a una esogamica di matrimonio. L'aver posto al centro del vincolo matrimoniale un discorso di tipo amoroso è stata una transizione sociologica da una maniera romana a una tipicamente cristiana di rappresentare la relazione coniugale, dato che, non dobbiamo dimenticarlo, non in tutti i sistemi sociali e non in tutte le epoche il matrimonio ha avuto la stessa funzione. In particolare l'amore è stato riconosciuto come centrale nel vicolo matrimoniale solo grazie alle illuminate Leggi Borboniche, mentre altrove era comunque la convenienza a fondare la famiglia cristiana.

Viene dunque da domandarsi quale sia stata davvero la partita in gioco in Parlamento quando si è messa al centro dei lavori il DdL sulle Unioni Civili: perché i nomi che si sono dati le due fazioni in gioco, Cattolici da una parte e Laici dall'altra, non rispecchiano i confini dello scontro tra posizioni a contrarie e a favore del riconoscimento di uno statuto giuridico di tipo familiare alle relazioni amorose, orizzontali tra coniugi e verticali con figli. Così come non sembra essere la questione dell'orientamento sessuale degli innamorati da sola in grado di rendere conto dei confini che le due fazioni si sono attribuite. 

Il dialogo tra le Sacre Scritture e la Storia è da una questione difficile, in cui vige uno statuto di posizioni prese più, sembra, per un principio di differenziazione che per una argomentabile ragione logica. Tuttavia faremo un piccolo torto alla discussione sintetizzandola nella seguente, semplicistica antinomia: ci sono da un lato i cristiani che ritengono la Bibbia un testo da rileggere entro una cornice allegorica; per questi, passaggi quali "Quando una fanciulla vergine è fidanzata, e un uomo, trovandola in città, pecca con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete così che muoiano: la fanciulla, perché essendo in città non ha gridato, e l'uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così toglierai il male da te." e "La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle regole, o che lo abbia più del normale sarà immonda per tutto il tempo del flusso, secondo le norme dell'immondezza mestruale. Ogni giaciglio sul quale si coricherà durante tutto il tempo del flusso sarà per lei come il giaciglio sul quale si corica quando ha le regole; ogni mobile sul quale siederà sarà immondo, come lo è quando essa ha le regole. Chiunque toccherà quelle cose sarà immondo; dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell'acqua e sarà immondo." sono il resoconto di una mente divina che ha scelto proprio l'allegoria come narrazione della propria Verità all'uomo. In tale senso deve essere interpretato il discorso del movimento Would Jesus Discriminate?, che osserva come immerso nel tempo, che ha reso tutto relativo, l'umanità spesso si sia trovata smarrita di fronte alla realizzazione del progetto di amore assoluto cui il Dio cristiano l'ha indirizzata; appoggio della schiavitù, sostegno alla negazione del diritto di voto delle donne, opposizione ai matrimoni interrazziali sono solo tre passaggi di rilievo in questo cammino erratico dell'uomo alla ricerca della realizzazione dell'amore divino. Si sa che nel Nuovo Testamento Dio non condanna l'uomo, ma lo perdona, a patto che non continui a perseverare nei propri sbagli: c'è da augurare ai legislatori che il loro voto non sia frutto di una perseveranza nell'errore. 

Dall'altra parte, invece, sostano quei cristiani che assumono la Bibbia come ricettacolo di precetti di comportamento, nell'idea che il paradigma divino sia chiaro, diretto, e non necessiti di interpretazione. Se Paolo di Tarso scrive "Per questo Dio li ha dati in balia di passioni degradanti: le loro donne hanno scambiato il rapporto sessuale naturale con quello contro natura; ugualmente gli uomini, lasciato il rapporto naturale con la donna, si sono infiammati di passione smodata gli uni verso gli altri, compiendo turpitudine uomini con uomini, ricevendo in se stessi il controsalario debito al loro inganno." significa che le cose stanno così, e basta, anche se sempre nella Lettera ai Romani dice "Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere?". Poco  importa quindi se ovunque nel resto del testo la parola di Dio sia trascritta come parola allegorica e da interpretarsi: nei passaggi socialmente scomodi il senso è sempre letterale e astorica.

Non è quindi tra cristiani e laici la contrapposizione che schiera i favorevoli e i contrari al riconoscimento delle famiglie omosessuali, ma è esattamente ortogonale a questa: è la contrapposizione antichissima tra promotori del cambiamento e sostenitori dello status quo. È sulla scorta di una dinamica intrinseca a qualunque sistema sociale, sia esso un gruppo o quell'astrazione chiamata società, che si sta svolgendo un dibattito ormai ventennale, le cui radici vanno ancora più indietro nella storia addirittura dei primi del '900. Ed è sulla scorta del mancato riconoscimento delle radici tutte sociali, e non religiose, del dibattito che si sta consumando un grande martirio democratico, la rinuncia coatta di tante persone omosessuali e non sposate al poter costituire una famiglia e a poter portare avanti un progetto di vita duraturo, che comprenda nel proprio orizzonte anche dei figli. 
Quello che si sta compiendo in questi anni è senz'altro un profondo cambiamento, che va inteso (come sempre andrebbero intesi i fenomeni che abitano il nostro vivere sociale) in senso critico: la revisione delle relazioni pone una clausola di cautela nei confronti del pericolo della mercificazione dei rapporti, della loro capitalizzazione in virtù di un'ideologia del cambiamento e del progresso a tutti i costi che invece altro non è che disconoscimento o ignoranza della tradizione. Tuttavia bisogna anche riconoscere alla trasformazione in atto la possibilità che liberi spazio all'autenticità dell'elaborazione di nuovi modelli di famiglia che magari riescono a stare al di fuori delle correnti perverse della liquidità á la Bauman e a fondarsi davvero sull'amore duraturo. La clandestinità giuridica delle numerosissime famiglie arcobaleno e di quelle di genitori non sposati è una condizione che non può essere accettata a lungo, per il diritto stesso inalienabile di ognuno alla cittadinanza. La paura per il cambiamento, per quanto legittima, non è ragion sufficiente per bloccare lo sviluppo di vite umane, siano quelle degli adulti che quelle dei bambini potenzialmente da essi adottabili.

L'Italia, e la cultura cristiana di cui è intrisa che porta il simbolo del Cristo nelle scuole e negli ospedali, questa Italia alla questione avrebbe potuto fornire un importante e originale contributo culturale, in ambito sia tecnico-giuridico che sociale. Ponendo la religione cristiana al centro di ogni discorso l'amore, puro e disinteressato, pacifista e caritatevole, sarebbe stata profondamente auspicabile una legislazione veramente cristiana sul matrimonio, poiché l'influenza del concetto di amore del Nuovo Testamento sarebbe stata in grado di contrapporre una misura efficace alle semplificazioni estreme del liberismo. Dalle questioni di ordine economico del Diritto Romano, che hanno predominato per secoli, a quelle individualiste del Diritto Napoleonico, a quelle stataliste del Fascismo, si sarebbe arrivati finalmente a mettere al centro della denominazione di famiglia l'amore, nella sua forma spirituale e non materializzata nella genetica.

Un'innovazione matura che non cancella, anzi dà valore alla tradizione, raccogliendone l'eredità più bella, ma mondata degli errori storici. 

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