È UN EFFETTO BREXIT MADE IN U.S.A.,…

…quello che si ha avuto nelle borse (1) dopo l'elezione di Trump. Forse che la politica di disimpegno sui teatri operativi (2), il piglio anti-globalizzazione (3) e il ritorno al protezionismo (4) equivalgono a un disimpegno formale degli Stati Uniti su un livello di negoziazione internazionale?

(1) La vittoria di Trump preoccupa soprattutto le società che ottengono la maggior parte dei ricavi negli Usa, ma aldilà dei timori per le ricette di politica economica annunciate in campagna elettorale da Trump, sui mercati regna la confusione soprattutto a causa dell’incertezza: i tempi e i modi in cui Trump annuncerà e realizzerà la sua politica economica saranno cruciali per capire in quanto tempo i mercati riusciranno a digerire il nuovo corso degli Stati Uniti.
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L'oro torna ai livelli del post Brexit, con la corsa ai beni rifugio che premia il metallo prezioso oltre i 1300 dollari l'oncia (+2%), dopo aver toccato un top di 1336 dollari l'oncia. Elevati i volumi, in una giornata in cui anche la voltilità è molto forte. Sull'azionario, acquisti sui titoli delle compagnie minerarie come Antofagasta che a Londra mette a segno un rialzo del 5,8%. In calo gli altri metalli: dopo un crollo nelle prime battute di contrattazione il rame è tornato sulla parità, lo zinco cede mezzo punto percentuale e l'alluminio cala dello 0,8%.

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-11-09/effetto-trump-europa-2percento-ftse-mib-13-titoli-che-non-fanno-prezzo-082520.shtml?uuid=ADexg6rB

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(2) Per l’Afghanistan il risultato delle elezioni presidenziali statunitensi non sarà senza conseguenze: questo è il Paese della guerra più lunga della storia americana, un conflitto iniziato nel 2001 dopo gli attacchi dell’11 settembre, all’epoca della presidenza di George W. Bush.
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Il nuovo inquilino della Casa Bianca dovrà per forza di cose decidere se lasciare inalterato, ridurre o persino rafforzare la presenza di truppe Usa in Afghanistan dopo la strategia militare “minimalista” di Barack Obama, come molti analisti l’hanno definita. (Hillary Clinton ha vagamente detto di voler “affrontare” l’IS in Afghanistan e “arginare il flusso di jihadisti”, Trump ha evocato la fine degli sforzi di “nation-building”.
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Trump, è per l’esperto [Davood Moradian, direttore dell'Afghan Institute for Strategic Studies], come “un vaso di Pandora”, un candidato presidente che “manca di esperienza politica”, ma “la politica internazionale non ha regole, così come il mondo delle aziende” e qui il candidato repubblicano ha – secondo l’esperto – tutte le carte in regola per poter “giocare”.

http://www.analisidifesa.it/2016/11/clinton-trump-e-la-guerra-afghana-dimenticata/

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(3) Alcune considerazioni più che spicciole post elezione di Donald Trump a quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Sarà un grande work in progress, durerà molto tempo, riserverà sorprese di ogni genere. L’Era della Volatilità è iniziata, alla grande. Scusate in anticipo per le banalità.

Intanto, servirà comprendere se e quale sarà lo iato tra proclami/programmi e realtà. Se sarà minimo, cioè se il programma di Trump verrà effettivamente attuato, avremo il collasso dell’economia mondiale a causa di una distruttiva reazione protezionistica. Se così andrà, chi nel mondo si lamenta da anni contro gli effetti nefasti della globalizzazione, avrà in omaggio un sontuoso contrappasso. In Vaticano preparino nuovi discorsi grondanti sdegno, ce ne sarà un gran bisogno.

http://phastidio.net/2016/11/09/trumped/

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(4) Nonostante positivi dati economici che mostrano tassi di crescita del PIL tre volte superiori a quelli europei e disoccupazione al 4.8%, dovesse approdare alla Casa Bianca, Donald Trump si troverebbe a gestire la pesante eredità obamiana -reo di aver condotto una disastrosa politica estera nel Medio Oriente e non solo. Il candidato Repubblicano imputa all’amministrazione uscente, e consequenzialmente anche alla Clinton che ne ha servito fino al 2013 in qualità di Segretario di Stato, lo stato di assoluto caos vigente in Medio Oriente -vedasi Iraq, Primavere Arabe, Libia, Siria.
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‘Make America Great Again’, ‘America First’, il sacro egoismo nazionale di un’America che osteggia l’interdipendenza del globalismo, sono gli slogan che fin dall’inizio delle presidenziali hanno caratterizzato la visione programmatica del Tycoon. Un neo-isolazionismo coniante un nuovo paradigma della geopolitica, definito come “ripiegamento espansivo” da alcuni analisti del settore: ogni riqualificazione degli obiettivi dovrà esser funzionale alla grandezza americana. Certo, l’islam politico ed il fondamentalismo islamico (ISIL) rappresenterebbero il nemico da debellare per antonomasia. Il piano da lui delineato non è del tutto chiaro, tra reiterati raid aerei della coalizione internazionale e paventati boots on the ground; come fare, allora? Giungendo ad un accordo sistemico con la Russia di Putin, strumentale ad allentare la tensione da guerra fredda 2.0 tra i due paesi e, soprattutto, alla stabilizzazione dell’intero continente eurasiatico (in funzione anti cinese).

http://www.geopoliticalcenter.com/attualita/la-politica-estera-di-donald-trump-letta-da-roma/
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