LE POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO…

…risentono di un problema organizzativo (1), legato alle competenze delle persone che vi prestano servizio, e di un problema culturale (2), per cui l'Italia fatica a uscire dalle logiche passivizzanti dell'assistenzialismo; nel mondo delle imprese, invece, il concetto di lavoro è oggetto di uno shift semantico (3).



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(1) Le #politicheattive sul #lavoro cominciano dalla capacità dei #Centriperlimpiego di attivare e #orientare le #persone. Spunti da Francesco Giubileo e Francesco Pastore su La Voce.

«Innanzitutto va perciò chiarito l’obiettivo politico dei centri per l’impiego nel mercato del lavoro. Oggi sono quasi esclusivamente strutture amministrative per la registrazione delle dichiarazioni di disponibilità al lavoro e le attività protocollari per quanto riguarda disabilità e certificazione per tirocini extra-curriculari: in altri paesi queste attività sono svolte quasi esclusivamente on-line o affidate a uffici unici del lavoro. In Italia, si potrebbe dunque parlare di una sorta di super-Inps, mentre il vero compito dei centri per l’impiego dovrebbe essere in primo luogo quello di realizzare politiche volte all’occupabilità dei disoccupati.
[…]
In prospettiva futura, è però necessario costituire un percorso accademico dedicato ed esclusivo per l’accesso ai centri per l’impiego, come già oggi avviene in Germania.»

http://www.lavoce.info/archives/48510/trovare-lavoro-servono-centri-limpiego-4-0/

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(2) Le #politicheattive del #lavoro devono essere ripensate nella sostanza stessa dell'#attivazione, serve più #fiducia. Spunti da Roberta Carlini su Internazionale.

«Com’è andata con l’attivazione?

Se non sappiamo che uso è stato fatto delle social card e quanto hanno aiutato chi le ha ricevute, ancor meno conosciamo i risultati della cosiddetta attivazione. Cioè, quanti poveri sono stati aiutati anche a entrare, o a rientrare, nel mercato del lavoro.
[…]
Le politiche dell’attivazione sono in via di ripensamento anche in altri paesi. Nei Paesi Bassi, per esempio, cinque città sperimenteranno il sussidio di disoccupazione incondizionato. Vale a dire un aiuto che non obbliga ad avere tutti i requisiti previsti dalla legge per rientrare nel mondo del lavoro. L’idea chiave è la fiducia: se diamo fiducia alle persone che ricevono l’aiuto, forse sceglieranno meglio il modo per formarsi e cercare lavoro.»

https://www.internazionale.it/reportage/roberta-carlini/2017/07/10/amp/poverta-reddito-inclusione

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(3) Esiste una #cultura del #lavoro che sta svuotando il concetto del suo significato di base. Spunti da Eleonora Voltolina su Linkiesta.

«Digressione: Carpisa non è la prima. Ci sono stati per esempio svariati supermercati che, negli ultimi anni, hanno fatto cose simili, estraendo a sorte vincitori di stage o addirittura contratti di lavoro. Ma due torti ovviamente non fanno una ragione. Mettere uno stage come premio di un concorso è profondamente, totalmente sbagliato.
[…]
Chiedere ai candidati di presentarsi attraverso un'idea non è sbagliato in sé. Anzi, può essere un elemento "meritocratizzante", per esempio per permettere a qualcuno che ha un titolo di studio basso, o un voto di laurea mediocre, di venir preso in considerazione. (C'è una start-up basata proprio su questo, si chiama JustKnock). Quel che è sbagliato è mischiare le carte tra marketing e recruiting. I candidati sono candidati, mirano a uno stage e a un posto di lavoro. I consulenti sono consulenti, e come tali vanno pagati. I clienti sono clienti, e come tali pagano.»

http://www.linkiesta.it/it/article/2017/09/05/carpisa-ha-sbagliato-lo-stage-non-e-un-premio-e-non-e-un-gioco/35409/

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