ALCUNI NODI DELLA POLITICA

Si fa un gran parlare di questi tempi del ritorno al voto, nel contesto più ampio di una crisi di governo che si è abbattuta sulle teste dei parlamentari ma anche, in parte, su quelle dei cittadini. In particolare, viene rivendicato il ritorno alle urne come quintessenza della Democrazia, contro quelle che vengono definite in modo spregiativo manovre di palazzo e che, invece, altro non sono che espressione del diritto/dovere di un Parlamento di trovare una maggioranza senza scomodare i cittadini. In particolare, l'ipotesi che non si passi per la volontà popolare (che più che volontà assomiglia a una certa volubilità, come vedremo più avanti) scatena rabbia e indignazione, come se fosse stato sempre prassi tornare nella cabina elettorale ogni volta che un Governo abbia bisogno di un rimpasto per andare avanti.
 


I numeri della partecipazione

Tuttavia, questo attaccamento a una pratica tanto obsoleta che alcuni propongono rivederla in modo sostanziale, non sembra essere giustificata dai numeri sulla partecipazione al voto, che sono in lento declino dal 1948 in avanti, soprattutto se si vanno a vedere i numeri dei giovani italiani che partecipano al voto, corrispondenti a circa il 40% contro il 65% del Belgio, il quasi 55% della Danimarca, ma anche il circa 25% della Francia e il 18% del Regno Unito (Report Oxfam, 2018).

I numeri della partecipazione in Italia risultano, a una prima lettura, piuttosto esigui: il 27.4% degli over 14 si informa ogni giorno (la quota più grande è dei cittadini tra i 60 e i 64 anni), il 22.5% si informa sui fatti politici qualche volta a settimana, il 26.2% non si informa mai, con il contributo importante del 52.8% dei più giovani (Istat, 2019). Diventano ancora più importanti se visti dal punto di vista dei partiti, i quali stanno assistendo al precipizio delle iscrizioni e dei finanziamenti, tanto che nel 2018 il 40% delle entrate dei partiti è da attribuirsi ai parlamentari eletti (facendo entrare così la Politica in una sorta di pericolosa secca di autosussistenza).

Insomma, viene da domandarsi perché chiedere a gran voce un voto se poi sulla Politica non ci si tiene informati e se comunque si preferisce andare a raccogliere le castagne. Eppure, già nel 1965 Lester Milbrath divideva la società civile in diversi livelli, in base al grado di partecipazione:
  • gladiatori, che partecipano attivamente e direttamente alla vita politica, e che sono il 7% del totale;
  • osservatori, che seguono la scena politica ma senza condividerne i rituali in alcun modo, circa il 60% dei cittadini;
  • apatici, corrispondenti al 30% del totale, che né si informano né votano.

Partecipazione politica e fragilità 

Questo lavoro tassonomico - che come tutte le classificazioni gode di un intrinseco fascino ma presenta anche importanti limiti - deve indurci a pensare che è molto difficile che la partecipazione politica possa saturare per intero una società, mentre è più facile che vada a riguardare solo alcuni strati della popolazione: potrebbe non essere un caso che a partecipare a comizi, a cortei, a dibattiti politici e a fare volontariato per un partito siano prevalentemente persone che vivono nei centri cittadini, più che nelle periferie, così come chi partecipa a discussioni politiche sia tendenzialmente occupato o pensionato.

Viene da pensare che siano i cittadini più deboli gli stessi che, al momento giusto, non partecipano al voto, ma in realtà non è proprio esatto: un lavoro storico di Lindquist (1964) mostra che la partecipazione cala in una cittadina degli Stati Uniti man mano che si scende lungo la scala sociale, ma questo risultato pare non essere stabile nel tempo e, soprattutto, viene in parte smentito da altri studi. Per esempio, Lorenzini e Giugni (2012) evidenziano come nei giovani svizzeri aumenti la percentuale di coloro che votano tra i disoccupati, mentre Sinclair e collaboratori (Sinclair, Hall e Alvarez, 2011) trovano un'interessantissimo legame tra la partecipazione al voto a New Orleans e il livello di allagamento per l'Uragano Katrina, mostrando come chi fosse stato meno colpito e più colpito andasse a votare, mentre nel mezzo si concentrava una maggiore tendenza alla rinuncia; dunque, questo paper suggerisce che la partecipazione potrebbe distribuirsi a U tra gruppi con gradi diversi di fragilità, passando dall'essere importante per quelle più forti a irrisoria in quelli nel mezzo, per poi tornare a livelli interessanti nei più deboli.

Insomma, se l'OECD (2017) denuncia un progressivo e pericoloso deterioramento dell'amore e della fiducia nei confronti della politica, è anche vero che non si tratta di un processo inesorabile che sta erodendo il senso della partecipazione, bensì lo sta mutando profondamente. In questi termini, quello del Movimento 5 Stelle nostrano è davvero un esperimento interessante: un partito politico strutturato in modo estremamente verticistico, senza che però i ruoli apicali coincidano con chi detiene effettivamente il potere; capace di inoculare speranza in una generazione frantumata e post-moderna, di ricreare mobilitazione dal basso, organizzando il senso comune non in termini di istanze politiche, bensì di leggende urbane; in grado di istituire una tecnologia della partecipazione diretta (anche qui i numeri sono, però, irrisori), del tutto fuori da ogni possibilità di controllo del processo; insomma, un fenomeno in bilico tra novità e innovazione, che cavalca l'onda delle più recenti mutazioni antropologiche, senza scioglierne gli importanti nodi: non a caso viene definito dalla stampa il "partito dell'anti-politica", proprio per la sua capacità di ricostruire un nuovo tipo di consenso sulle ceneri della partecipazione. 

Partecipare senza conoscere? 

Poiché al voto è molto probabile che non si vada (non ora, almeno), può essere interessante capire cosa potrebbe succedere all'elettorato di questa nuova formazione e forma politica, ora che ci si trova alla prova dei fatti: sembra inevitabile per il Movimento 5 Stelle ricorrere in questa fase alla grammatica tradizionale delle istituzioni, che è fatta di alleanze, di accordi, di programmi calati in parte dall'alto. In uno studio, Shufeldt (2018) afferma che nella contemporaneità i partiti assumono sembre di più le sembianze di gruppi naturali, e che quando tra gruppo e partito vi è uno scollamento anche gli elettori tendono a votare per qualcun altro o a non votare, soprattutto se le coalizioni in cui i partiti sono inserite non sono equilibrate. Gschwend e Hooghe (2008) identificano quattro motivi per cui, all'interno di una coalizione, è possibile che i simpatizzanti per un partito lo abbandonino: il disprezzo per il partner di coalizione, l'incongruenza ideologica tra i due, il fatto che i due partiti abbiano dimensioni diverse e il fatto di essere legati a un candidato specifico; inoltre, sottolineano come le coalizioni non siano del tutto identificabili con la somma dei partiti che le compongono, ma che alcuni elettori le valutino come organizzazioni a sé. Infine, il lavoro di Bakker e collaboratori mostra come l'apertura all'esperienza, un tratto di personalità che potrebbe essere collegato alla partecipazione in un partito nuovo come il Movimento 5 Stelle, predisponga a una certa infedeltà elettorale.

In conclusione, per citare Mario Sechi, viviamo in tempi interessanti. È evidente che al momento nessuno è stato in grado di ricostruire la partecipazione politica in maniera stabile e duratura, sia come processi che come valore; è tuttavia dubbio che esista la reale possibilità di un tale livello di coinvolgimento in una democrazia contemporanea dei cittadini della cosiddetta classe media. Forse è da qui che si potrebbe ripartire: dal disegnare l'identità di questo strato di popolazione, che al momento vive in un vuoto di rappresentanza, di riferimenti, forse anche di senso; e farlo sì, attraverso la Politica, ma forse questa da sola non è sufficiente; forse serve un passaggio pre-politico, affinché il desiderio di partecipazione non nasca prima della conoscenza (e del riconoscimento) della Politica.


Lindquist, J. H. (1964). Socioeconomic status and political participation. Western Political Quarterly, 17(4), 608-614.

Sinclair, B., Hall, T. E., & Alvarez, R. M. (2011). Flooding the vote: Hurricane Katrina and voter participation in New Orleans. American politics research, 39(5), 921-957.

Lorenzini, J., & Giugni, M. (2012). Employment status, social capital, and political participation: A comparison of unemployed and employed youth in Geneva. Swiss Political Science Review, 18(3), 332-351.

OECD (2017), Trust and Public Policy: How Better Governance Can Help Rebuild Public Trust, OECD Public Governance Reviews, OECD Publishing, Paris.

Shufeldt, G. (2018). Party–group ambivalence and voter loyalty: Results from three experiments. American Politics Research, 46(1), 132-168.

Bakker, B. N., Klemmensen, R., Nørgaard, A. S., & Schumacher, G. (2016). Stay loyal or exit the party? How openness to experience and extroversion explain vote switching. Political Psychology, 37(3), 419-429.

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