LA PREVENZIONE COME ARGINE DEI CONTAGI



Se solo qualcuno si fosse preoccupato in Italia di interpellare psicologi e psicologhe sociali, esperti di quei fattori che predispongono all'adozione di condotte di prevenzione e tutela della salute, molti errori non sarebbero stati commessi. Invece no, e questa è la prima cosa che ho capito. La comunicazione è sempre veicolo di contesti e di culture, non esiste una comunicazione che possa definirsi genuinamente neutrale, e questa è la grande lezione di Bateson e Watzlawick. La prima ondata di pandemia è stata segnata da una comunicazione che ha riflesso interamente lo stile della Medicina italiana. Faccio un passo indietro. 

Se nelle classifiche dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, che tengono conto di indicatori strutturali quali spesa sanitaria e aspettativa di vita, il Sistema Sanitario Nazionale italiano si colloca al secondo posto, esistono altri sistemi di valutazione che tengono conto di ulteriori aspetti connessi alla qualità del servizio, come l'Euro Health Consumer Index, nei quali il punteggio risulta nettamente peggiore, a testimonianza del fatto che non sempre solidità correla con qualità; in particolare, si rileva una pessima resa nella gestione delle liste d'attesa, nella quantità di appuntamenti in capo a ciascun medico singolo, nel diritto ad acquisire un secondo parere e nella condivisione delle informazioni fondamentali per il paziente per capire che tipo di problema ha e a che tipo di cura viene sottoposto. 

Classifica dei sistemi sanitari sulla base di indicatori di qualità e democrazia


Facendo un salto interpretativo, si può dire che il SSN italiano sia pervaso da quel paternalismo che abita anche in altri contesti, nel quale il portato antropologico del paziente è un problema, da gestire e frenare con la strategia del terrore. La comunicazione nella prima ondata della pandemia non è stata niente di più che un costante e martellante "Signor Giovanni, se non la smette di fumare lei tra un mese muore", che ha portato un po' tutte e tutti a sentirsi minuti, impotenti e in balia degli eventi. Ma che prezzo ha tutto questo in termini di ricadute comportamentali? In generale, che effetto ha su quella che Moscovici definisce società pensante l'imposizione di un pensiero esperto che non si pone il problema di essere fruibile e intelleggibile?

Con l'ultima riforma sanitaria impostata dall'ex ministra Lorenzin, che ha giustamente introdotto un obbligo vaccinale esteso (all'epoca l'Italia stava pericolosamente uscendo dalle soglie di sicurezza), con controlli più capillari, si è visto l'effetto di un tecnicismo calato dall'alto senza libretto di istruzioni: si sono polarizzate le posizioni antivacciniste e le teorie del complotto, che nascono sempre da un Senso Comune intento a capire cosa stia succedendo e perché. Con la comunicazione promossa da Walter Ricciardi e da Roberto Burioni, alla prima ondata pandemica è accaduto lo stesso: la società pensante è sfuggita al controllo, e non appena si è allentata la morsa delle restrizioni sono esplose teorie complottiste e posizioni che, sotto una lente razionalistica appaiono folli, ma dal punto di vista di uno psicologo sociale risultano prevedibili e ovvie. 

Mentre le ambulanze tornano a sfrecciare per le strade deserte delle metropoli, sarebbe bene constatare che non c'è stata nessuna campagna di divulgazione esperta di dati e lavori scientifici; "divulgazione esperta", perché non si può pensare che, dato che viviamo tutti in una società, allora ne siamo tutti fini conoscitori, così come non siamo esperti del corpo per il solo fatto di averne uno. In altri Paesi dell'UE si è proceduto a informare la popolazione sui comportamenti a rischio tramite il ricorso a infografiche, tabelle differenziali, animazioni, che in sostanza andavano a evidenziare come il rischio di contagio aumentasse man mano che diminuivano le distanze interpersonali, le coperture delle vie respiratorie e la circolazione d'aria. 




Da El Pais, Un salón, un bar y una clase


Non è affatto banale svolgere questo tipo di attività informativa sul piano psico-sociale. Lo Health Belief Model e la Theory of Reasoned Action, che sono due dei modelli che principalmente vengono utilizzati per connettere i comportamenti alla sfera delle intenzioni e delle conoscenze, mostrano come ai fini dell'adozione di un comportamento efficace vi sia il controllo comportamentale percepito: in altri termini, le persone tendono ad adottare condotte tese alla prevenzione se sentono di avere una buona dose di controllo su ciò che stanno facendo, altrimenti procedono in ordine sparso e diventano meno compliant con le indicazioni del medico. Ciò che invece non va affatto bene è il ritorno di una comunicazione allarmistica, con effetti dis-empowering sulla popolazione; la metafora della guerra condotta contro il nemico invisibile, o storie che mettono al centro la banalità del virus, altro non fanno che far sentire sempre più assediato l'Io, come sostenne qualche anno fa Christopher Lasch, con l'esito ovvio di spingere le persone (soprattutto le più fragili) a correre fuori casa o, all'opposto, a rintanarsi e non uscire più. 


 



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