DISEGNO DI LEGGE ZAN: UN PERCORSO RESO LUNGO E TORTUOSO



Le questioni su cui interviene il Disegno di Legge Zan sono fondamentalmente due: aggiungere alle discriminazioni previste negli articoli 604-bis e 604-ter del Codice Penale, che includono di razza, etnia e religione, altre fattispecie riguardanti il sesso, genere e identità di genere, orientamento sessuale, e disabilità; coerentemente, verrebbero estese le tutele espresse dalla Legge Mancino, che punisce l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o di nazionalità. All'interno della Consulta per i Diritti Umani dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia ci siamo occupati della questione da un punto di vista giuridico grazie al contributo dell'avvocato Antonio Rotelli di Rete Lenford. 




Benché il 57% delle persone LGBT+ ritenga che l'Italia non stia contrastando affatto il pregiudizio omobitransfobico (percentuale a cui si deve aggiungere un 35% che risponde che quanto messo in campo non sia abbastanza), come si legge nel report A Long Way to Go to LGBTI Equality della Fundamental Rights Agency; benché il popolo LGBT+ sia particolarmente soggetto a hate crime e hate speech, come mostra un report dello European Parliament's Policy Department for Citizens' Rights and Constitutional Affairs, una parte del Parlamento italiano non ha accolto il disegno di legge in modo favorevole, vi è stata anzi una subitanea levata di scudi, che si è trasmessa poi alla società civile. La prima grande preoccupazione che ha destato il disegno di legge ha riguardato la libertà di espressione, ossia che se il disegno di legge Zan fosse riuscito a diventare legge non sarebbe stato più possibile esprimere opinioni circa il mondo LGBT+. La questione è stata spiegata molto chiaramente dal giornalista Simone Alliva su L'Espresso:

«È vero che la legge Zan estende la legge Mancino-Reale, ma non la estende al reato di "propaganda di idee fondate sull’odio etnico e razziale” (art. 604 bis c.p.). Facciamo un esempio: il giudice potrebbe applicare l’aggravante Zan a un’associazione che pubblicando la foto di un attivista gay invita i suoi seguaci a linciarlo. Non a un cittadino che potrà ancora liberamente dire: “Le persone omosessuali sono malate”, “l'utero in affitto è un abominio”, “il matrimonio omosessuale è sbagliato”»

Insomma, rimangono margini più che ampi di libertà di opinione e di pensiero, che possono anche sfociare l'offesa manifesta; per intenderci, nel grafico qui sotto, che rappresenta gli atti omobitransfobici (senza pretesa di esaustività, essendo basato su segnalazioni spontanee), una grande fetta rimarrebbe intatta, all'incirca tutta la parte in verde, la stragrande maggioranza degli episodi.



La polemica delle femministe radicali

Il DdL Zan, in maniera insolita, fornisce all'articolo 1 un breve glossario iniziale per definire gli oggetti di cui andrà a occuparsi; in particolare, definisce il genere «per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso», mentre l'identità di genere «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione». 

Una componente estremamente ridotta, ma rumorosa e ampiamente sovra-rappresentata a livello mediatico, del femminismo, il cosiddetto femminismo radicale o radfem, si caratterizza per una posizione filosofica preconcetta nei confronti delle persone transgender, le quali non sarebbero altro che persone in stallo, in una fase di passaggio durante la quale non hanno diritto a essere considerate appieno né donne né uomini. Diverse esponenti del panorama culturale italiano, oltre che le componenti dell'associazione Arcilesbica, si sono espresse contro il principio di autodeterminazione implicito nel DdL Zan, sostenendo in estrema sintesi che per poter approdare a una condizione di normalità bisogna passare attraverso la riassegnazione chirurgica del sesso. Questo è il motivo per cui vengono anche tacciate di transfobia, o definite TERF, un acronimo che ricorda l'esclusione delle donne transgender dal novero delle donne. 

Aprire la strada alla cosiddetta Self Id, ossia all'autoidentificazione con un genere (per alcune persone non binarie, per esempio, questo può variare di giorno in giorno), significherebbe dare spazio a forme di appropriazione indebita di diritti femminili, oltre che a forme di violenza. Per questo motivo, la definizione fornita dal DdL Zan di identità di genere viene rigettata, e tacciata di vaghezza, benché in realtà sia estremamente precisa. Sulla questione interviene Cristina Alicata, dalle pagine di Valigia Blu:

«Ora so cosa state pensando. Che se vostra figlia una mattina si svegliasse e vi dicesse che vuole cambiare sesso voi andreste fuori di testa. Lo capisco. Ma nel caso delle persone transessuali questo non accadrà mai dalla mattina alla sera. Con molta probabilità voi genitori lo sapete prima di lei»

 

Riflessi politici

Alessandro Zan è nato come deputato in area Renzi, cui l'ex segretario del PD affidò il compito di portare avanti le battaglie per i diritti civili; oggi è in Area Riformista, insieme a Luca Lotti e ad altri fedelissimi, la corrente che per alcuni può essere considerata un'enclave di Italia Viva nel PD: Italia Viva che ha inaspettatamente offerto una sponda a Matteo Salvini, e chissà se questo ha qualcosa a che fare con il fatto che, il giorno della votazione alla Camera, Luca Lotti era assente, insieme ad Anna Ascani e a molti altri personaggi che appartengono alla galassia renziana. 

Aldilà di questioni di correnti, la segreteria del Partito Democratico ha pubblicamente appoggiato il disegno di legge, cavalcando in particolare l'onda della polemica evocata da Fedez in occasione del concerto del Primo Maggio; l'occasione è stata buona per consolidare l'alleanza con il Movimento 5 Stelle e con LeU, che sicuramente tornerà utile in vista delle Regionali. 

Il voto alla Camera è secretato, ma è possibile prendere atto del fatto che 38 deputati di Forza Italia erano assenti o in missione, 31 di Lega - Salvini premier. Il DdL Zan è chiaramente un disegno di legge scomodo per la destre, e questo è il motivo per cui il Senatore Pillon si era opposto alla sua calendarizzazione, affermando che altre fossero le priorità, ed è anche il motivo per cui per lungo tempo è stato tenuto in ostaggio in Senato, in ottemperanza della linea ostruzionista nata all'interno della Lega per Salvini, che presiede la Commissione Giustizia al Senato. Secono Tajani il tema introdotto dal DdL Zan è divisivo, e non è il caso in un momento delicato come quello attuale spaccare la maggioranza su questioni come lo hate speech e lo ius soli


Come se non bastasse, un gruppo di parlamentari che si autodefinisce "centrodestra di Governo", ha presentato il 6 maggio un proprio disegno di legge, che espunge alcuni passaggi importanti quali la definizione di identità di genere e la sensibilizzazione. Come sintetizza Pagella Politica:

«La differenza fra i due testi è, in primo luogo, in un diverso intervento sul Codice penale. Mentre il ddl Zan inserisce i motivi legati al sesso, all’orientamento sessuale, all’identità di genere, al genere e alla disabilità fra le discriminazioni punibili come il razzismo, semplificando, il testo del centrodestra inserisce le stesse motivazioni alle aggravanti comuni, quindi punibili solo in presenza di un reato»

E poi ci sono i Verdi, che meritano un paragrafo di attenzione. Benché seguiti sistematicamente da meno del 2% della cittadinanza, sono riusciti a creare dissapori tali da aver stimolato la nascita di una corrente interna al partito. In particolare, le posizioni dell'esecutivo nazionale sul DdL Zan non hanno tenuto conto della produzione documentale ad opera di diversi gruppi di lavoro, e questo ha portato molti a dimettersi dalle cariche, e in alcuni casi dal partito stesso, in segno di protesta: ci vuole un'immensa immaginazione politica, per riuscire a spaccare un gruppo che, per quantità numerica, sfiorava gli indivisibili! Il risultato è che anche quella ridottissima polemica rimbalzata sui social network ha portato nel giro di poco i sondaggi, che davano i Verdi al 2.1% ai primi di aprile, a un misero 1.4%


Questioni giuridiche e psico-sociali

Benché di identità di genere si sia dibattuto ampiamente in ambito filosofico, soprattutto nel dibattito interno al cosiddetto femminismo della terza ondata, mi permetto di dire che la definizione scientifica del concetto rimane appannaggio della psicologia, in particolare della psicologia sociale e di quella dello sviluppo. Non è un caso che siano state autrici come la Bem, psicologa sociale, a decostruire i concetti di mascolinità e femminilità, ponendoli come poli opposti a intensità variabile negli individui, o la psicologa dell'età evolutiva Bartlett, cui si deve la proposta di eliminare la categoria "disturbo di identità di genere" nei bambini dal DSM. 

Nel glossario alla cui redazione ho contribuito all'interno del Gruppo di Lavoro dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia, definiamo l'identità di genere:

«L'autoidentificazione di una persona in quanto maschio o femmina. Benché l'approccio dominante in psicologia per molti anni abbia guardato all'identità di genere come a un costrutto individuale, oggi si riconosce l'importanza dell'influenza delle strutture sociali, delle aspettative culturali e delle interazioni personali nel suo sviluppo. Esistono evidenze significative a sostegno del fatto che l'identità di genere è influenzata sia da fattori biologici che sociali»

L'autrice Wood evidenzia in un suo testo, in modo molto chiaro, le vie attraverso cui le due dimensioni interagiscono: a partire da un innesco ormonale, il resto delle dimensioni rilevanti entra in gioco pressoché subito nello sviluppo, rendendo un esercizio ozioso e inutile - oltre che poco rilevante sul piano scientifico - cercare di districare le ragioni. 




Per quanto concerne l'utilizzo in ambito giuridico del termine identità di genere, nella legge italiana e nei trattati internazionali appare in più occasioni, il che gli conferisce consistenza: ad esempio, la legge 164 del 1982, o il decreto legislativo 251 del 2007, ma anche le sentenze 221/2015 e 180/2017 della Corte Costituzionale, il secondo dei quali - tra l'altro - sancisce la possibilità di cambiare i dati anagrafici anche in assenza di operazione chirurgica. Infine, la Convenzione di Istanbul e la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo parlano esplicitamente di identità di genere.

Insomma, il percorso che porta all'inasprimento delle pene per chi fa del pregiudizio una ragione di odio e di violenza è stato disseminato di clausole, riflessioni, appelli al dialogo, al ripensamento, di un brusio che mai si manifesta quando la notizia è che qualche persona omosessuale, transgender o disabile sia stata vittima di aggressione. No, la società pensante si è risvegliata quando si è iniziato a dire "Basta!", e forse la ragione di questo risveglio è proprio ciò che si vorrebbe contribuire ad arginare: il pregiudizio omobitransfobico.

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